Rabbia, disperazione, rassegnazione. E’ questo che filtra dalle parole dei lavoratori Almaviva. Questa mattina, i sindacati dell’azienda hanno indetto una conferenza stampa a Palermo per fare il punto sullo stato della vertenza. Al momento, la stessa vive una situazione di stallo. A cinque mesi dall’accordo trovato al tavolo ministeriale di Roma, non si è mosso ancora nulla di concreto per il futuro di oltre 450 dipendenti dell’azienda suddivisi fra i call center di Palermo e Catania.
La partita si è spostata in casa della Regione Siciliana, la quale ha provato ad avviare una manovra attraverso l’assessorato al Lavoro. “Abbiamo assistito a tavoli nazionali in cui le istituzioni ci hanno abbandonato e hanno rimandato la patata bollente a livello regionale – dichiara Giancarlo Mancuso, dipendente Almaviva -. C’è un progetto che prevede una ricollocazione attraverso dei corsi di formazione ex Anpal. Ma vorrei capire chi crede al fatto che in Sicilia si trovino 400 posti di lavoro per persone, tra l’altro, non più giovanissime“.
Una storia aziendale che parte dall’inizio degli anni 2000. C’è chi, all’interno di Almaviva, ha trovato perfino l’amore. Si è creato una famiglia. Come nel caso di Maria Lo Re, moglie di Giuseppe Mancuso e lavoratrice del call center di Palermo. Oggi però dei lustri del passato dell’azienda resta poco. “E’ una società morta. Ha dichiarato la cessazione attività per settembre 2024. Siamo in cassa integrazione fino al 30 settembre. Poi? Non si sa cosa accadrà di noi“.
Il tempo, dunque, stringe. Bisognerà trovare una soluzione con urgenza. E non sarà facile. Il rischio è che centinaia di lavoratori e lavoratrici rimangono invischiati nei meandri burocratici della politica. “La storia dei dipendenti Almaviva ha raggiunto un limite, sia a livello economico che psicologico – sottolinea Maria Grazia Nuccio, dipendente Almaviva -. Facevo parte della commessa Alitalia. I passaggi sono avvenuti ad ottobre 2021 senza una graduatoria pubblica. Noi siamo rimasti bloccati. C’erano diverse commesse. Siamo un unico bacino in attesa di risposte”.
Ma di certezze, a cinque mesi di distanza dal tavolo al Mimit, non ce ne sono. “Avevamo fatto un accordo il 16 dicembre scorso al Mimit – spiega Giovanni Gorgone della Fistel Cisl -. Prevedeva un ammortizzatore sociale volto alla ricollocazione. Ad oggi non c’è nessun spiraglio. I lavoratori stanno vivendo una situazione drammatica. Non sanno cosa potrà avvenire in futuro“. I sindacati hanno puntato il dito contro un accordo che non avrebbero voluto firmare ma a cui sono sottostati “perchè era l’unico modo per salvare la cassa integrazione dei lavoratori”. La speranza è che dal Ministero del Made in Italy arrivino risposte. Fatto per il quale domani, mercoledì 15 maggio, è stato convocato l’ennesimo vertice a Roma. Intanto però, il tempo passa e la preoccupazione dei dipendenti Almaviva cresce.