Non tutti sanno che la ‘parmigiana’ è corretto chiamarla ‘parmiciana’ per la disposizione delle fette di melanzana che ricordano quelle di una persiana, che nel dialetto di alcune province siciliane viene definita ‘parmiciana’ . Non tutti sanno che le “reginelle”, i biscotti ricoperti di sesamo, il nostro ‘cimino’, sono in realtà i ‘biscotti regina’, dal nome della regina austriaca Maria Carolina, moglie di Ferdinando di Borbone, a cui piacquero tanto. O ancora, non tutti sanno che le ‘fave a cunigghio’ si chiamano così perché si mangiano con gli incisivi e il movimento ricorda lo stesso modo di cibarsi dei conigli.
Questi e tanti altri aneddoti saranno raccontati da Gaetano Basile, studioso palermitano delle tradizioni popolari della città, che avrà una postazione fissa all’interno dello Street Food Festival, manifestazione gastronomica che si svolgerà a Palermo dal 15 al 18 dicembre. Le storie, le origini, le ricette, i valori nutrizionali e tanto altro è narrato nel suo libro ‘Piaceri e misteri dello Street Food palermitano’.
“Il divertimento per me è vedere lo stupore della gente quando racconti cose che non conoscono – afferma lo studioso -. La cultura, purtroppo, da noi è degli illetterati. Molte volte ho visto in centro città ragazzi mangiare l’hot-dog americano e poi non assaggiare nemmeno i nostri piatti tipici. Tutto questo per ignoranza, nel senso reale del termine, che non conoscono cioè le vere tradizioni gastronomiche e ne prendono le distanze.”
Il cibo di strada è stato, in effetti, a lungo svalutato: “Io mi batto per il cibo di strada da ‘solo’ trent’anni. Finalmente ne è stato compreso il valore – racconta Basile -. Ricordo quando anni fa con i miei amici, avvocati e magistrati, proponevo di andare a mangiare la ‘frittola’, piatto che considero di inattesa delicatezza, ma non si andava perché mangiare cibo del genere era ritenuto motivo di vergogna. Poi accadde qualcosa. Un giorno – aggiunge ancora- mi telefonò Nino ‘u Ballerino per chiedermi di spiegargli tutto quello che sapevo sulla ‘vastedda ca meusa’ perché doveva andare all’Università Bocconi per tenere una lezione su questo piatto. Le prime due lezioni sono state un successo. E in quel momento i palermitani hanno capito che il ‘pane ca meusa’ era qualcosa da frequentare perché se Milano ha aperto le porte a questo piatto, e per esteso a questo mondo gastronomico, potevano farlo anche loro.”
Ma per quanto le tradizioni culinarie siano diverse, esistono dei ‘ponti’, grazie ai quali stesse specialità sono proposte su tavole differenti: è il caso della cotoletta di carne, fritta in passato rigorosamente nello strutto, e non utilizzando l’olio d’oliva, ma pur sempre accompagnata dal limone. “L’usanza di questo accostamento l’ho compresa solo da adulto in un viaggio a Vienna, dove ho visto nei ristoranti mangiare ogni boccone di carne accompagnata da una fetta di limone infilzata nella forchetta, non spremuto. Incuriosito, ho domandato il motivo e mi è stato spiegato che si usa per attutire l’odore forte dello strutto. Oggi vendono la margarina che è migliore, e la si utilizza per tutto”, sorride lo studioso, pensando a quante cose sono cambiate.
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