Al Borgo Vecchio a tenere in piedi il fiorente spaccio di droga erano le donne. Erano loro che gestivano insieme ai marito lo spaccio.
Il grosso della droga era era gestito da due coppie, che non esitavano a coinvolgere i figli, alcuni anche minorenni.
Lo smercio per strada era garantito da un esercito di giovani pusher (alcuni minori anch’essi), assoldati a percentuale: il 20% sul venduto e qualche dose in regalo; chi pretendeva di più veniva licenziato.
Poi c’era il vertice, i grossi fornitori che con la manovalanza non avevano contatti diretti ma che garantivano l’approvvigionamento di grandi quantità di stupefacenti, attraverso i loro canali privilegiati. Era ben organizzato il «mercato parallelo» del Borgo Vecchio, quello – sempre florido – della droga.
La polizia ha indagato a lungo per riuscire a sgominare un’organizzazione criminale che trafficava soprattutto hashish e marijuana ma anche piccole quantità di cocaina. Diciotto le persone arrestate, otto finite in carcere e dieci ai domiciliari; per altri cinque indagati invece è scattata la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, produzione, traffico e detenzione di stupefacenti.
Un mercato ben organizzato e con le donne in primo piano. Due, Giuseppa Tantillo di 49 anni e Domenica Ragusa di 37, vengono definite «pilastri fondanti dell’associazione» dal gip Michele Guarnotta che ha firmato gli ordini di carcerazione. Avevano il ruolo di contabili di quella che plausibilmente era l’unica attività per il sostentamento della famiglia.
Si occupavano delle retribuzioni degli spacciatori, tenevano la cassa comune, in qualche caso – raccogliendo le lamentele della madre di un pusher – si preoccupavano di smistare parte del dovuto anche a lei, a cui il figlio lesinava i soldi. Ma erano anche custodi attente dei panetti e dell’«erba», pronte a nasconderli al primo allarme: «Leva tutte cose», era il messaggio; e la droga spariva.
Con loro in cella sono finiti anche i rispettivi mariti, il cinquantenne Antonio Miceli e Francesco Madonia di 40 anni; e poi Marco e Giovanni Trapani, di 28 e 31 anni, che contribuivano all’attività di smercio delle due famiglie, il primo in particolare, assicurando i contatti con i grossi fornitori ma anche tenendo a loro volta sotto controllo i piccoli pusher.
ùLo stesso ruolo secondo il giudice ha avuto in molti casi anche Maurizio Fecarotta (43 anni) mentre più «in alto» stava Davide Melignano, 28 anni. Lui sarebbe «di maggiore spessore criminale» secondo gli inquirenti, che lo considerano esponente della famiglia mafiosa di Palermo centro; avrebbe fornito lo stupefacente solo attraverso pochi e fidati intermediari.
La casa al centro del mercato della droga era quella della coppia Miceli-Tantillo, in via Corselli al Molo.
Sulla base delle indagini avviate nel 2017 dal commissariato «Centro», coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia e corroborate anche da intercettazioni telefoniche e ambientali nello stesso appartamento, nonché dalle dichiarazioni del pentito Giuseppe Tantillo (fratello della donna) il capofamiglia sarebbe stato «il collettore principale dell’hashish proveniente all’ingrosso al Borgo Vecchio attraverso canali “autorizzati”», col benestare cioè dei boss del quartiere. In quella casa in meno di due mesi è stato documentato l’ingresso di panetti per 5 chili, 2 chili e mezzo e altri 4,8 chili appena quindici giorni dopo: era l’8 agosto 2018, in quel caso un blitz della polizia portò all’arresto di Miceli, che venne posto ai domiciliari ma ovviamente tenuto sotto stretto controllo.
Le microspie in casa rivelarono che l’attività non si fermò, con l’ausilio di Marco Trapani e con un ruolo di sempre maggior rilievo della moglie di Miceli; ma molto attivi erano anche i figli della coppia, il minorenne M. (definito una sorta di alter ego del padre) e Sebastiana detta Paola, 29 anni, incaricati entrambi di smistare la droga tra i pusher o di assicurarne il trasporto in luoghi dove tenerla al sicuro, quando si temevano blitz.
La ventinovenne, peraltro, in almeno due occasioni avrebbe usato la borsa con gli effetti personali del figlio neonato per trasportarla. Nessuno scrupolo poi nell’usare come corriere – almeno in un caso documentato – anche la piccola di casa, la sorellina di 11 anni.
La famiglia Miceli riforniva regolarmente un’altra coppia, quella composta da Francesco Madonia e Domenica Ragusa, che nell’abitazione di via Tommaso Campailla aveva avviato un commercio identico, in collaborazione con i primi e con le stesse regole. Anche loro coinvolgevano il figlio minorenne e dell’attività di spaccio era partecipe pure la sorella di Madonia, Giovanna, la quale a sua volta usava i piccoli di casa per alcune consegne.
Un quadro desolante, quello che emerge dalle carte dell’operazione «Push-Away», con il quartiere Borgo Vecchio che torna al centro delle attenzioni per il malaffare diffuso e «capillare», come capillare è risultata la rete di spaccio in quella piazza che sembra un «mondo a parte» e dove sono state registrate, grazie alla telecamere, centinaia di cessioni a tutte le ore.
Il sindaco Leoluca Orlando ieri ha voluto ringraziare il questore per l’operazione «che ha permesso di affermare principi di legalità a Borgo Vecchio, un altro quartiere della città che sta compiendo un percorso di liberazione dall’ingombrante presenza della mafia». Intanto ieri, davanti al commissariato di via Bentivegna, nella solita ressa di familiari che mandavano baci all’indirizzo di chi stava per essere rinchiuso in carcere, prevalevano i sorrisi. Gli arrestati ostentavano ottimismo, «non ti preoccupare…», «ci vediamo presto». E tra le voci quella di un uomo ammanettato, che ha più volte urlato un messaggio stridente: «Papà, papà, mi raccumannu ‘u picciriddu».
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