Tra le tante iniziative di solidarietà sorte anche nella nostra città per sopperire ai bisogni alimentari scaturiti dall’emergenza coronavirus c’è n’è una particolarmente interessante per come è nata e da chi è stata proposta. Infatti i promotori sono docenti e studenti che si ritrovano settimanalmente attorno all’esperienza di “Portofranco Palermo”. Ne parliamo con il suo presidente il professore Giuseppe Meli.
Professore, innanzitutto cos’è “Portofranco adotta una famiglia”
L’iniziativa è nata in modo spontaneo da alcuni docenti volontari che sostengono l’esperienza di “Portofranco Palermo”. Si sono resi disponibili per aiutare economicamente persone in difficoltà. Offriamo in modo discreto e efficace al tempo stesso derrate alimentari a famiglie che si sono improvvisamente venute a trovare in uno stato di bisogno. In molti casi per il tipo di lavoro che faceva, spesso solo il capo famiglia, queste si sono improvvisamente trovate senza reddito e senza copertura previdenziale. I casi più frequenti sono le persone che lavorano nella ristorazione o i piccoli commercianti.
Come si sta sviluppando e che tipo di coinvolgimento ha trovato?
I docenti volontari di Portofranco hanno chiesto alla associazione di costituire un punto di raccordo e così in brevissimo tempo si è messo in piedi un meccanismo di solidarietà molto efficace, oltre che semplice. Chi desidera contribuire trasferisce la cifra stabilita sul nostro conto spiegandone la finalità. Le famiglie in difficoltà ci inviano l’elenco dei beni di cui hanno di bisogno. Noi lo trasferiamo al supermercato Eurospar di Via Eugenio l’Emiro che si è offerto di organizzare i sacchi con la spesa e di sostenere le spese della consegna a domicilio. Spesso in una sola giornata il cerchio si chiude e a sera la famiglia si trova a casa quanto ha richiesto. Noi poi a Portofranco raccogliamo le ricevute e facciamo settimanalmente la contabilità. Nessuno si muove da casa e tutti possono contribuire.
Come è stata accolta l’iniziativa?
Le famiglie beneficiarie hanno accolto positivamente la nostra offerta di sostegno e sono grate per quello che abbiamo fatto e che stiamo continuando a fare, anche perché con questo sistema riusciamo a dare loro quello di cui effettivamente hanno bisogno, come alimenti freschi, o per neonati, materiale igienico e oggetti per la casa, necessari pur in un momento così difficile.
Come avete individuato le famiglie?
All’inizio ci sono state segnalate dalla Caritas di Sant’Ernesto, ma poi man mano che le settimane passavano abbiamo dato sostegno anche a famiglie dei ragazzi che versano in una improvvisa situazione di difficoltà o che ci sono state suggerite da persone conoscenti. Non va dimenticato inoltre che pur essendo una iniziativa di adulti e per adulti, i ragazzi vi hanno preso parte soprattutto diffondendola in giro o offrendosi per il recapito a domicilio ove necessario.
A questo punto è opportuno spiegare cos’è Portofranco Palermo?
È una esperienza di aiuto gratuito nello studio per i ragazzi delle scuole superiori. Pur non essendo nata a Palermo, ma in Italia circa venti anni fa e presente in molte città, a Palermo ha trovato subito molta accoglienza. Soprattutto dai beneficiari, cioè gli studenti, ma anche dai volontari, cioè i docenti.
Da cosa nasce?
Dall’esigenza dei ragazzi che troppo spesso sono soli nell’affrontare certe difficoltà che incontrano nel loro studio. La scuola ha cercato in questi anni di venire incontro a questo bisogno, ma spesso sia per il metodo usato sia per l’obbligatorietà del servizio reso, non ha dato i risultati attesi. A Palermo è nata già da qualche anno tra alcuni insegnati, ma quasi subito si è diffusa sia perché le richieste dei ragazzi sono state numerose, sia perché ha trovato adesione in molti professori, alcuni dei quali da poco in pensione e quindi disposti a dedicare qualche ora pomeridiana a quello che certamente è stato l’impegno più importante della loro vita.
Come funziona in concreto?
In dettaglio: offriamo gratuitamente lezioni ai ragazzi solo di scuola media superiore con il rapporto 1 a 1, cioè un docente per uno studente per la durata di un’ora. Il fulcro di tutta l’iniziativa sta nella libertà del ragazzo che, preso atto del suo bisogno, decide liberamente di scegliere questa forma di sostegno, senza costrizione e per tutto il tempo che desidera.
Dove vi ritrovate?
Siamo ospiti della parrocchia di sant’Ernesto, ma abbiamo aperto anche un altro punto nella parrocchia di san Basilio. Le lezioni si svolgono nelle prime ore del pomeriggio nelle aule adibite subito dopo al catechismo.
Che giudizio si può trarre dopo questi anni di attività?
I risultati sono stati abbastanza positivi anche se – è bene dirlo e i ragazzi lo sanno bene – non è garantita la promozione. È garantito un modo di studiare bene che finisce per appassionare anche i più apatici e distratti. Spesso ci chiedono la differenza con i corsi di recupero. La differenza non sta solo nel rapporto diretto studente/insegnante ma nella decisione libera e consapevole del ragazzo a venire da noi. Lo muove il bisogno, certo, ma anche la libertà di aderire senza la doverosità che c’è in tante esperienze scolastiche. Ecco perché non riproponiamo il modello classico del raggruppamento in un’aula. D’altra parte non siamo né vogliamo essere una alternativa alla scuola, ma semmai una integrazione.
Ma così facendo si salta la socializzazione, dinamica fondamentale del processo educativo?
Certo da noi l’aspetto della socializzazione in classe è minimo. Ma a questo sopperiamo con iniziative a latere che proponiamo nei momenti liberi, soprattutto gite e viste guidate in città. Certo se avessimo dei locali che non sono quelli di una parrocchia, ma assomigliassero di più ad una scuola, saremmo avvantaggiati. La nostra iniziativa è nata grazie alla disponibilità del parroco di Sant’Ernesto, don Carmelo Vicari. Gli siamo grati perché altrimenti non avremmo neanche potuto iniziare.
Ed allora cosa vi manca?
Certamente se avessimo più spazio sia di aule che di tempo, tre ore invece che due come ora per esempio, potremmo rendere un servizio più efficace e consentire ai ragazzi di conoscersi di più e meglio.
Ma chi sono quelli che lei chiama volontari?
Sono la struttura portante dell’iniziativa. Sono docenti, spesso già pensionati, ma anche studenti universitari e professionisti competenti per materie specifiche. Più sono i volontari più sono i servizi che si possono rendere, anche perché il numero di ragazzi che chiedono il nostro aiuto tende ad aumentare. Questo non vuol dire che aumenta il bisogno, ma che noi non riusciamo con le nostre risorse umane a far fronte a tutto il bisogno che c’è.
Può essere più chiaro?
Le richieste di aiuto nelle materie scientifiche è superiore alla disponibilità di insegnanti che abbiamo. Avere più insegnanti vuol dire coprire anche la diversificazione delle richieste che giungono. Per esempio ancora non siamo in grado di offrire lezioni per materie di istituti tecnici e professionali, perché mancano le docenze corrispondenti. E quelli di informatica e meccanica sono appena bastevoli al momento.
E adesso con le scuole chiuse avete chiuso anche voi?
Assolutamente no, anche noi lavoriamo a distanza e per via telematica. Acquisiamo innanzitutto la richiesta del ragazzo attraverso la piattaforma che ci siamo creati in base alle nostre esigenze, poi la incrociamo con quella del docente e quindi insieme loro due stabiliscono l’ora in cui collegarsi con il computer. Tenuto conto della quantità di ore che in questo momento i ragazzi impiegano nella didattica a distanza con i loro professori, l’orario concordato viene incontro anche alle loro esigenze: quelle di non interferire con l’impegno che svolgono nel resto della giornata. Ovviamente in questo momento le richieste dei ragazzi sono notevolmente diminuite proprio perché sono impegnati per molte ore davanti al video con i loro docenti. Ma le verifiche fatte da noi dicono che l’esperienza a distanza sta funzionando.
Torniamo a “Portofranco adotta una famiglia”. Che giudizio ne date? Quali prospettive si aprono?
Partiamo dalla seconda domanda. Speriamo che presto si possa chiudere perché si possa tornare ad una condizione di normalità. Quanto fatto finora ha meravigliato tutti, noi per primi perché ha dimostrato più cose. Primo che la generosità delle persone è più grande di quella che immaginiamo. Secondo che uno strumento semplice, ogni riferimento alla burocrazia delle istituzioni non è casuale, può dare risultati efficaci e in breve tempo. Terzo che elemento fondante della carità è oltre alla generosità anche il rapporto umano. Non recapitiamo il sacchetto in modo anonimo. Sappiamo a chi lo consegnammo e chi lo riceve sa da chi viene. In questo momento ci unisce il telefono o il computer, ma finita l’emergenza siamo certi sarà aumentata anche la nostra amicizia.