E’ in preparazione una mobilitazione della Cgil contro la decisione di sopprimere le tre sedi di Milano, Palermo e Napoli dell’Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. C’è preoccupazione per la sorte dei lavoratori, e per la dispersione di un patrimonio professionale accumulato in questi anni. L’allarme è aumentato, denunciano la Cgil e la Fp Cgil Palermo, con l’arrivo di una lettera del direttore amministrativo in cui si chiede ai dipendenti, in attesa della riorganizzazione, il consenso alla proroga del comando per tutto il 2018 senza più la garanzia degli stipendi.
“Una situazione paradossale. Viene chiesta la disponibilità ai dipendenti in distacco ma l’Agenzia, che nella nuova direttiva dovrà ampliare gli organici da 95 a 200 unità, non è in grado di sostenere con il proprio bilancio i trattamenti economici per il personale comandato”, dichiara Mario Ridulfo della segreteria Cgil Palermo.
In un’assemblea in videoconferenza con il personale dell’Agenzia dei beni confiscate di tutte le sedi d’Italia, convocata lunedì dalla Fp Cgil, sono state messe in evidenza le criticità presenti nella norma del nuovo codice antimafia, che ha previsto il riassetto dell’Agenzia. “Una legge – dicono la Cgil e la Fp Cgil Palermo – giuridicamente bellissima per gli scopi che si propone ma debole per quanto riguarda l’organizzazione del personale”.
“In particolare – aggiunge Anna Maria Tirreno, della segreteria Fp Cgil Palermo – la chiusura della nostra sede ci sembra una scelta illogica e irrazionale, considerando che in Sicilia sono 7.538 gli immobili confiscati dati in gestione e ci sono altri 4.747 immobili ancora da affidare. C’è una incredibile attività in piedi, che è stata incrementata anche grazie alla professionalità acquisita in questi anni dal personale.
All’assemblea è stata ribadita la richiesta di mantenimento della sede come punto di riferimento territoriale o sede decentrata.
“Come si faranno i controlli sulle aziende confiscate nel nostro territorio? Che lotta alla mafia si fa così? Facciamo solo un torto a chi si è adoperato ed è morto per ottenere le leggi sulla confisca dei beni mafiosi -continua Anna Maria Tirreno -La richiesta del direttore ci sembra un grave segnale di disattenzione nei confronti del personale da anni assegnato a Palermo e ora costretto a tornare fuori sede. Ci sono tantissimi laureati, agronomi, ingegneri, economisti, gente che crede in questo lavoro”. “La nostra – aggiunge Ridulfo – non è una rivendicazione campanilistica ma l’idea che la lotta alla mafia si fa sui territori e che lo Stato deve garantire certezza di risorse e una gestione attenta. Le sedi sono terminali delle richieste di attività giudiziarie da parte degli amministratori che gestiscono beni mobili, immobili e aziende. E a fine di ogni confisca c’è tutto il lavoro che l’Agenzia deve fare sul territorio per valutare la destinazione dei beni”.