Accusato di minacce, percosse e violenze un palermitano è stato assolto dopo sette anni di processo perché il fatto non sussiste. L’uomo di 37 anni era stato denunciato nel 2017 per percosse, pugni, calci, minacce e maltrattamenti dalla moglie.
E’ stato rinviato a giudizio dal giudice di Termini Imerese e per questo è stato sospeso dall’esercito dopo avere vinto un concorso. La moglie ha raccontato in sede di denuncia una lunga serie di percosse e minacce. Secondo quanto raccontato in sede di denuncia l’ex marito, dal quale ha avuto quattro figli, le avrebbe detto che sarebbe andato in cucina avrebbe preso un coltello e le avrebbe dato 30 coltellate.
Il rapporto si sarebbe ulteriormente incrinato dopo la nascita della quarta figlia. Nel corso delle denunce l’ex moglie avrebbe anche affermato che il marito avrebbe iniziato una relazione omosessuale con un amico di famiglia. Una volta separati la donna aveva iniziato una relazione con l’ex marito della sorella dell’imputato. Dalla relazione è nata una quinta figlia.
Tre figli le erano stati affidati e mentre due al padre. Nel corso di una recita natalizia la donna sarebbe caduta accusando che il marito le avrebbe sferrato il calcio. Ricostruzione che sarebbe stata smentita dalla relazione della scuola così sono state smentite come gran parte degli episodi di violenza grazie al lavoro svolto dall’avvocato Antonio Di Lorenzo che ha difeso l’ex marito.
Secondo il giudice del tribunale di Termini Imerese Alessandro Quattrocchi “tutto quanto acquisito in dibattimento – si legge nella sentenza – non sia sufficiente e adeguato a fondare un giudizio di penale responsabilità dell’imputato dovendo ritenere che le dichiarazioni accusatorie della parte offesa non pienamente attendibili, non solo per l’intrinseca inaffidabilità delle stessa, ma altresì per l’emersione, nel corso del dibattimento, di elementi idonei ad inficiarne la valenza dimostrativa”. L’ex moglie per il giudice non è attendibile e ciò si evince sia dalla trama interna del racconto, connotato da contraddizioni, sia dall’atteggiamento espositivo mantenuto dalla teste connotato da spiccato accanimento e spirito vendicativo nei confronti dell’imputato. Da qui l’assoluzione perché il fatto non sussiste.