La parola più adoperata è tendenzialmente “Amore”. E’ un concetto sgualcito, lo si indossa quotidianamente come un maglione smesso, non ci si cura dell’essenza; ormai non si suole più “ragionar d’amore”.
Ci si concentra sull’abitudine in sé, minimizzando “Eros” ad un semplice sentimento scarno e mutevole. Noi, umanità, non sappiamo cosa sia l’Amore.
E’ il dramma della contemporaneità: ci illudiamo di comprendere, spendiamo parole abusate e come camaleonti ci appropriamo del colore dello sfondo perché è giusto così. Forse la tracotanza si impossessa di noi e non ci permette di riflettere riguardo al tema amoroso.
E se sapessimo di non sapere? E se rivivessimo il Simposio di Platone scritto da Sofia Muscato con la partecipazione brillante di Marco Manera?
Potrebbe essere un ottimo modo per cominciare a capire. Il connubio tra umorismo e riflessione messo in scena da Sofia dona allegria e colma il cuore.
Lo spettacolo ha avuto inizio con la descrizione accurata del dialogo platonico portata avanti da Mariella Di Baudo, che con la sua chiarezza espositiva e con la sua delicatezza è riuscita ad invitare l’intero pubblico ad un silenzio meditativo.
Come dice Socrate nel Simposio stesso “Mi faccio bello per andare tra i belli” e così è stato: la sua narrazione ha purificato l’anima di qualsiasi persona lì presente.
Il dialogo si svolge a casa di Agatone, il quale ha deciso di invitare Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane e Socrate dal momento che aveva conseguito una vittoria nel concorso drammaturgico del 416 a.C.
Il Simposio è un intreccio di discorsi riguardo all’Eros, e ogni personaggio ha una visione propria dell’amore. Ognuno porta avanti la propria tesi, ma a rielaborare il concetto di Eros è Socrate, grazie agli insegnamenti e alla saggezza di Diotima, il quale sostiene che Amore sia uno slancio causato da una profonda mancanza che crea un bisogno viscerale.
Grazie a Platone si comprende che l’Amore debba essere percorso come una scala cercando di superare il primo gradino che simboleggia l’attrazione fisica fino ad aspirare a quello più elevato e ricongiurgersi alla Bellezza e al Bene Assoluto, verità escatologiche per eccellenza che portano l’uomo ad essere genitore con prole.
Ognuno di noi ha la capacità di generare qualcosa, che sia una buona azione, una buona legge, un’opera d’arte, purché sia qualcosa che garantisca l’immortalità.
E anche una rappresentazione teatrale come questa in quanto forma d’arte incommensurabile e inimitabile entra nel cuore e non lo abbandona più rendendo bello chiunque decida di contemplarla.