Venerdì 19 gennaio 2018 alle ore 18:30 nei locali della LIBRERIA DEL MARE in via Cala 50 – Palermo inaugurazione mostra fotografica di NINO GIARAMIDARO “’68 BELICE FERITO”
Un boato inaudito, quasi materia che veniva da dentro la terra, e poi il vacillare sussultorio, forse ondulatorio, probabilmente tutte e due le rabbiose onde, che si accaniscono sempre sulla povertà, su popolazioni che vivono della terra, dove scienza e tecnologia non vogliono arrivare perché lì circolano solo zappe aratri mule tetti di canne botteghe con il “libretto” della “credenza”: tutta roba al di fuori della new economy. Sono passati cinquant’anni.
La gente affollava i margini della strada, al buio combattuto con incerti falò. Sgomenta. Lettini e sedie sulle curve, a ridosso di ramaglie che uscivano da contrafforti di pietra a secco, sotto fichidindia senza cura, masserizie sulle spalle, bambini che piangevano, i piedi infangati, andavano tutti verso la paura con il dolore appollaiato sulle coppole e sugli scialli.
Erano le quattro del mattino nel buio di quel lunedì lungo la statale 119, da Santa Ninfa a Gibellina e poi, curvando a destra, sulla Provinciale verso Poggioreale e Salaparuta, ancora più giù l’agrigentina Montevago. In quella grande falce di paesi del Belice c’era stato l’epicentro, sinonimo elegante e docile della distruzione.
Quando il giorno si fece largo fra le pesanti nuvole, apparve Gibellina rasa al suolo. Il bombardamento di Dresda, la bomba di Enola Gay su Hiroshima. Poi Poggioreale, Salaparuta e Montevago dove sulla piazza era rimasta in piedi solo l’insegna di un distributore della Total.
Notti all’addiaccio, vagoni ferroviari pieni di deportati, le tende nel fango, la paura delle malattie, le baracche – anni e anni di vita dentro rettangoli di faesite – una punizione da rappresaglia per circa centomila della Sicilia sconosciuta. Una vergogna piena di bugie, sotterfugi, violenza, patimenti e speranze perdute.
Queste fotografie sono tentativi di ricordare quei giorni mesi e anni nel Belice ferito, umiliato e ingannato ma, per fortuna, non vinto.
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