Da giorni si parla della nuova variante del coronavirus emersa nel Regno Unito e, al momento, non si sa nulla di certo. Se tale mutazione cambi la capacità di trasmissione del SARS-CoV-2, sebbene ci siano delle analisi che vanno in tal senso, come riportato su Futura-Sciences.com.
Non si sa nulla di certo anche sulla gravità della malattia o dell’origine della variante. In merito a quest’ultimo aspetto, c’è l’ipotesi che la genedi di questo nuovo ceppo provenga dall’infezione cronica di un paziente immunosoppresso.
Ora, mutare è nella natura di qualsiasi virus. Continuatamente si modificano più o meno durante le fasi di replicazione virale a seguito di errori o di pressioni dell’ambiente in cui si radica. Quella inglese, quindi, non è la prima variante che appare nella genealogia del SARS-CoV-2. Tuttavia, è la prima che ha avuto un numero elevato di mutazioni. Come mai?
Come accennato, la comunità scientifica pensa che l’origine sia in un’infezione cronica di un paziente immunocompromesso. In questo tipo di pazienti, infatti, si cerca di dare sostegno al sistema immunitario, ‘travasando’ anticorpi attraverso il sangue dei pazienti guariti. Questa tecnica medica, insieme alla durata lunga dell’infezione, potrebbe esercitare una forte selezione sul virus e ciò si potrebbe tradurre in maggiori variazioni del suo RNA.
Grazie, poi, a due pubblicazioni sulle riviste Cell e New England Journal of Medicine, è noto che almeno due pazienti hanno avuto un’infezione prolungata da SARS-CoV-2 mentre ricevevano anticorpi tramite la trasfusione di sangue.
Le analisi effettuate su questi pazienti sono in linea con l’ipotesi della genesi. Infatti, in questi due pazienti, l’infezione anormalmente lunga e la metodica utilizzata hanno provocato nel tempo più mutazioni e delezioni.
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