Tiziana Panella, conduttrice di Tagadà, programma di La7, è risultata positiva al Covid-19. Ne ha dato notizia lei stessa sul Corriere della Sera.
La giornalista 53enne ha raccontato: “La cena del 24 ha colpito. Strike, focolaio familiare. Tutto come da manuale. Anche se avevamo ciclo completo di vaccinazioni, booster, tampone negativo. Sono stata male, molto male”.
Sì, perché la giornalista napoletana, prima di trascorrere le vacanze natalizie in famiglia, ha compiuto i passi necessari: non solo il ciclo vaccinale completo ma anche il tampone negativo.
Le sue parole: “Dopo due anni, sono tornata con mia figlia a Caserta dai miei genitori. Insomma, ciclo completo di vaccinazioni, booster, tampone negativo… si può fare. Tasso di euforia alla partenza altissimo, mia figlia felice. Il 24 a cena, c’è una specie di cappa. Il figlio di mio fratello è positivo, mio fratello non c’è. In compenso arriva Babbo Natale che, causa Covid, fa un giretto veloce e poi riparte con le renne”.
Panella ha, quindi, preso il Covid-19. Una volta manifestati i primi sintomi, diligentemente la giornalista va in autoisolamento. Dopo una prima ripresa, però, il peggioramento delle condizioni anche perché la giornalista ha patologie pregresse.
Il racconto prosegue così: “[…] Quasi subito arriva il maledetto Covid. Parla Mattarella di questa infinita giornata buia, dei medici, della disperazione, delle bare. Comincio a piangere. Piango di paura, di sofferenza fisica, di solitudine. La solitudine può essere una buona compagna di viaggio […]. Conosco la solitudine del cuore e della pelle e lo considero un buon affare, prezzo congruo. Ma la solitudine della malattia è un’altra storia. Sento il sangue che pompa sotto la pelle e la pelle brucia, mi fa male tutto dai reni alle dita delle mani. La gola è piena di spilli, sullo sterno mi hanno piazzato una pietra, la testa è una trottola che gira e pesa. Ho paura“.
Infine, il pensiero va alle tristementi famose bare di Bergamo: “Guardo la mia camera accogliente e so che se non fossi vaccinata sarei in terapia intensiva. Sento la solitudine di chi ha lottato in altre stanze, magari voleva urlare mentre non aveva aria per respirare. È disperante, per chi è nella stanza, per chi è oltre il vetro. Sono morti così, da soli, in tanti, troppi. Le ho raccontate in trasmissione le bare di Bergamo e non trovavo le parole. Adesso quelle storie, quelle vite, quelle solitudini mi feriscono senza rimedio”.
Commenta con Facebook