Sono animali anche loro. Meno noti (se non in negativo) dei teneri cuccioli delle foche Canadesi o degli empatici cani, ma in grado di soffrire egualmente.
Questo quanto evidenziato nella petizione indirizzata al Sindaco di Marsiglia, Jean-Claude Gaudin.
Evidentemente in non pochi devono essere d’accordo con la signora Marion, proponente della petizione apparsa nel sito MesOpinions. In cinque giorni già in duecento si sono uniti all’appello. Stop alla derattizzazione, anche i Ratti soffrono. Come sostenere il contrario?
Piaccia oppure no, ma i ratti fanno parte della storia dell’uomo. Ne hanno seguito l’evoluzione e la sua espansione nel mondo. Poco accorto alla storia naturale, l’uomo ha di fatto creato ambienti ideali per la proliferazione degli intelligentissimi roditori.
In Europa vi sono due specie che condividono il nostro cammino. Si tratta del Ratto norvegicus (meglio noto come Surmolotto o Ratto delle chiaviche) ed il Rattus rattus (Ratto nero). Il primo, in realtà, non ha molto a che fare con la Norvegia. La conosce come uno dei tanti paesi colonizzati a ridosso della rivoluzione industriale, quando spodestò il Ratto nero dai suoi areali storici. Era stato quest’ultimo a diffondere la peste in Europa e non l’ormai comunissimo e ben più recente Surmolotto. In realtà il batterio della temibile malattia veniva veicolato dalla pulce del Ratto nero il quale, nelle scorribande tra le granaglie accumulate dall’uomo, diffondeva senza volerlo il germe che tante vittime ha mietuto nella storia (poco igienica) dell’uomo. Le differenze tra i due Ratti sono notevoli. Quello nero, erbivoro, si trova più facilmente nelle zone rurali. Il secondo, invece, è onnivoro; un fatto, quest’ultimo, che ne ha favorito l’espansione in una tipologia più ampia di ambienti.
Basti pensare ai condotti fognari che purtroppo, specie per quelli a più piccola sezione, continuano a proporre sezioni non circolari. Di fatto costituiscono vere e proprie vie di comunicazione dove l’attento mammifero riesce facilmente a resistere alla corrente delle acque di scolo. Un animale difficile da eliminare perchè è lo stesso uomo che “costruisce” gli ambienti ideali per la sua proliferazione.
Ne sanno qualcosa le ditte specializzate ed i tanti posti permeabili alla penetrazione dei ratti.
Vi è poi un aspetto inquietante che riguarda le tante tipologie di prodotti velenosi utilizzate nelle derattizzazioni. Sono più o meno tutti basati su un unico principio attivo che agisce come potente anticoagulante. L’astuto animale, però, riesce a capire quale alimento è causa di morte di un suo consimile, in genere un ratto vecchio o malato mandato in avanscoperta per testare l’ignoto appetibile cibo. Tanto, se muore, la capacità riproduttiva della specie non verrà compromessa. Per evitare ciò si ricorre ad un’azione ritardante. In tale maniera si impedisce all’animale di ricollegare la morte del ratto-cavia ad un alimento in particolare. Più tempo passa, meno probabile è il collegamento. Sta di fatto che il continuo ricorrere alle derattizzazioni dimostra come siano sostanzialmente inefficaci i tentativi di eradicare la specie. Un fatto che dovrebbe far riflettere chi utilizza lo stesso termine per cercare “soluzioni” per eliminare altri animali, prima fra tutta la notissima nutria.
Cosa succederà, però, quando il principio attivo non agirà più? E’ già successo, ma finora si è riusciti ad isolare le popolazioni resistenti e cambiare la composizione del veleno. Ne esistono, infatti, di più generazioni ma alla base vi è sempre lo stesso discorso.
Il Ratto, in ultimo, non è poi così disprezzato quando si parla della notoriamente criticata sperimentazione animale o addirittura del fenomeno degli animali da compagnia. Questi ultimi siano essi domestici (ossia appositamente allevati) che “selvatici”, come dimostrano i non pochi filmati inseriti sui social network.
Non sappiamo come il Sindaco di Marsiglia accoglierà la petizione, ma la cosa certa è che dai ratti, intelligentissimi opportunisti, non ci separeremo mai. Abbiamo molte abitudini in comune.
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