Il 22 settembre, in concomitanza con la Fashion Week, è stata inaugurata a Palazzo Reale a Milano la mostra di uno dei più grandi fotografi del Novecento, Richard Avedon.
Un passo avanti nel viaggio intrapreso dall’istituzione milanese attraverso l’opera dei grandi maestri della fotografia, che nel corso degli ultimi due anni ha visto succedersi Letizia Battaglia, Ferdinando Scianna e Oliviero Toscani: un meritato tributo a una forma d’arte indispensabile per comprendere le trasformazioni della società e del mondo che ci circonda.
Verità che appare lampante di fronte agli oltre cento scatti presenti nelle sale del museo, tratte dall’ampia collezione del Center for Creative Photography (CCP) e testimonianza di epoche, stili, personaggi e avvenimenti.
Richard Avedon: Relationships è infatti una mostra suddivisibile in più parti: le immagini di moda giovanili, realizzate prima del 1960, in cui le modelle posano elegantemente in ambientazioni che sarebbero reali se non fossero così estremamente glamour, creando quasi dei fotogrammi cinematografici onirici, capaci di evocare in chi le guarda storie e racconti.
Appartengono a questo periodo alcuni scatti iconici come Carmen (Omaggio a Munkácsi) Cappotto Cardin, Place François-Premier, Parigi, 1957 e Renée, Il nuovo look Dior, Place de la Concorde, Parigi, Agosto 1947.
Uno stile superato decidendo di concentrarsi esclusivamente sulla modella e sui capi che indossa, eliminando il superfluo a favore di uno sfondo minimale e uniforme, e ritraendo i suoi soggetti in pose dinamiche e fluide che mettono in risalto gli abiti indossati.
È in questa fase che nasce la famosa e proficua collaborazione ventennale con la maison Versace, main partner della mostra, che porterà il fotografo a lavorare con super model quali Kate Moss, Claudia Schiffer, Naomi Campbell e Linda Evangelista.
Ma se Avedon ha legato inscindibilmente il suo nome alla moda e alle sue sacre riviste, come Vogue e Harper’sBazaar, è nei ritratti in bianco e nero di celebrità, artisti, attori, attivisti e politici che il fotografo ci regala tutto il suo genio, svelato in ogni ruga, cicatrice, brillio e malinconia che vediamo nei volti immortalati.
In questi lavori infatti, il soggetto pare occupare l’intera inquadratura, definendo un affascinante, e ogni tanto scomodo, senso di intimità tra chi è ritratto e chi osserva. Il riuscire a distinguere ogni minimo dettaglio del volto, ogni espressione dello sguardo, pone lo spettatore alla stessa distanza di solito riservata a un amante, a un amico o a un parente, rendendo emozionante vedere lo stesso soggetto ritratto più volte cambiare nel tempo, come nel caso dei bellissimi scatti a Truman Capote, l’autore di colazione di Tiffany, giovane ballerino efebico e maturo scrittore di successo.
Divertenti anche gli aneddoti dietro molti dei lavori, come quello attorno al ritratto dei duchi di Windsor, Edoardo VIII e Wallis Simpson: sapendo della loro ossessione per i carlini, Avedon un attimo prima di scattare la foto disse che il taxi con cui era venuto aveva investito un cane e subito scattò la foto. Da lì la smorfia di compassione sul volto dei due. Che sia vero o meno, dimostra come le immagini dell’artista non avessero niente di studiato, ma provenissero da qualcosa di più autentico.
Un talento enorme che rese l’americano un fotografo famoso e corteggiato, ma mai plagiato dalla fama, anzi, ribelle a regole e stereotipi, come quando realizzò la prima foto di una modella nera pubblicata su una rivista, o fotografò una famosa soprano cui era stato vietato di esibirsi per via del colore della pelle.
Richard Avedon è la storia della fotografia, e potersi smarrire nei suoi scatti è un meraviglioso regalo che Milano ci ha fatto.
La mostra è visitabile sino al 29 gennaio 2023.