Il Consiglio dei ministri (Cdm) ha approvato il disegno di legge (Ddl) di riforma costituzionale sul premierato.
La presidente del Cdm, Giorgia Meloni, in conferenza stampa ha spiegato che il Ddl persegue “due nostri obiettivi: garantire il diritto dei cittadini di decidere da chi farsi governare, mettendo fine alla stagione dei ribaltoni e dei Governi tecnici; e garantire che chi viene scelto dal popolo abbia un orizzonte di legislatura”.
La premier ha aggiunto che la riforma “consente che chi governa possa governare con un’orizzonte di legislatura, dunque abbia 5 anni per realizzare un progetto e dare stabilità, una condizione sostanziale per garantire strategia e guadagnare credibilità internazionale”.
Inoltre, “la considero come la madre di tutte le riforme che si possono fare in Italia” perché “non a sta me ricordare che in 75 anni di storia repubblicana abbiamo avuto 78 governi, con una vita media di un anno e mezzo”.
Per Carlo Calenda, leader di Azione, “il governo ha approvato una riforma in Cdm che potremmo chiamare l’Italierato. Non è un cancellierato (che avremmo approvato), non è Presidenzialismo o semi-presidenzialismo. È una nostra invenzione mai fino ad ora sperimentata nel mondo. Il Parlamento non funziona, il federalismo non funziona, la pubblica amministrazione non funziona. Meloni ha trovato la soluzione: occuparsi d’altro. Il che rappresenta bene la storia di questo Governo”.
Mentre, secondo l’ex presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, presidente del Comitato di garanzia del Movimento 5 Stelle, “il premierato meloniano è una riforma pasticciata e approssimativa. Una scelta che non favorirà la governabilità ma accentuerà gli squilibri del sistema”.
Con il premierato, il Capo dello Stato non nominerebbe più il premier ma conferirebbe l’incarico di guidare il Governo a quello eletto, tuttavia manterrebbe il potere di nomina dei ministri.
La riforma prevede anche la norma ‘anti-ribaltone’: nel caso in cui il premier dovesse dimettersi o decadere dal suo ruolo, il Capo dello Stato può assegnare l’incarico di formare un nuovo Governo al premier dimissionario o a un altro parlamentare eletto e collegato al presidente del Consiglio. Stop, infine, ai senatori a vita.
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