Guido Silvestri, scienziato italiano che da 30 anni lavora sui vaccini negli Stati Uniti come direttore del laboratorio di immunologia della Emory e del dipartimento di patologia della scuola di medicina dell’ateneo di Atlanta, in Georgia, è stato intervistato dal Corriere della Sera sulla variante Omicron del coronavirus.
L’esperto ha spiegato: “Il concetto di specie nei virus, che evolvono rapidamente e si adattano all’organismo che li ospita, è sempre difficile da definire: attenti a non trasformare un dibattito scientifico in allarmismo”.
“Già oggi siamo a 200 mila casi circa (di Omicron, n.d.r.), ma la cosa che conta di più non sono i contagi: è la pericolosità di questa fase della pandemia. Sicuramente Omicron si trasmette molto rapidamente, ma gli studi che abbiamo visto fin qui, soprattutto quello di Hong Kong, indicano che questo virus è molto bravo a insinuarsi nelle cellule dei bronchi, molto meno a scendere nei polmoni. Insomma, i contagiati non asintomatici sembrano subire un’aggressione quasi sempre limitata alle vie respiratorie superiori: dunque bronchite o tracheite, ma non la ben più pericolosa polmonite. Abbiamo ancora poche informazioni, ma i dati del Sud Africa, il primo Paese colpito, fin qui indicano che la mortalità da Omicron è dello 0,24%, almeno dieci volte meno rispetto al 2,5-4% delle precedenti ondate del coronavirus”.
Silvestri ha spiegato che i vaccinati, anche con terza dose, vengono colpiti ugualmente ma, “è vero per i contagi, non per la malattia. I vaccini non sono uno scudo totale che garantisce l’immunità anche dalle varianti, ma una protezione essenziale dalla malattia: le impediscono di manifestarsi con effetti severi. C’è chi sfrutta questi contagi per sostenere che i vaccini non funzionano. Che se non sono dannosi sono inutili. Non è così ed è pericoloso dare spazio a queste tesi. Guardiamo i dati: oggi in Italia ci sono 960 persone in terapia intensiva. Un anno fa erano 4.000. E allora non c’erano la variante Delta né la Omicron che hanno reso tutto più complesso. Qual è l’unica differenza da allora? I vaccini”.