“Se n’è andata una bestia, come bestie sono tutti i mafiosi. Anche io e tutti i pentiti, ex mafiosi, siamo stati delle bestie. Riina non s’è fermato”. Lo afferma il pentito Francesco Marino Mannoia in un’intervista a Repubblica.
“I Corleonesi erano animali, con il sangue attorno. Ma avevano il potere. Erano un’organizzazione troppo radicata, una situazione che mafiosi potenti come Stefano Bontate sottovalutarono: il giorno del suo compleanno, dopo avere festeggiato, uscì in auto e venne ucciso. Faceva il gradasso. Era diverso da Riina, ma anche lui era una bestia”, racconta Mannoia. “I mafiosi non capiscono: a che servono i miliardi, se poi devi passare la vita in carcere, o peggio ti ammazzano?”.
Per Mannoia “Riina è morto, ma purtroppo Cosa nostra si è già adeguata ai tempi. Di sicuro non è più il tempo delle coppole storte. Vedo una mafia più diplomatica, più affaristica, che si muove nella vita sociale. I giovani – avverte – devono stare attenti, devono rendersi conto di cosa è diventata davvero la mafia”.
“È morto troppo tardi, doveva morire cinquant’anni fa. Negli anni Sessanta Giuseppe Ruffino, uno di Corleone che non vedeva di buon’occhio né lui né Calogero Bagarella, voleva toglierlo di mezzo. Poi Ruffino è morto nel suo letto e Riina non ha avuto più ostacoli. Ha fatto arrestare Luciano Liggio ed è rimasto solo lui a comandare”.
Lo afferma Santino Di Matteo, il pentito di mafia che ha confessato la strage di Capaci, in un’intervista al Corriere della Sera in cui accusa Riina dell’omicidio di suo figlio, sciolto nell’acido a 15 anni dopo due anni di segregazione. “In Cosa nostra si ammazzava ma i bambini no. Riina stava in carcere, però a suo cognato Leoluca Bagarella che era ancora libero poteva mandare a dire di lasciare andare quel ragazzino innocente”, dichiara Di Matteo.
“Non l’ha fatto, e questo significa che c’è pure il suo zampino. È una carogna, come dicevano i suoi paesani. Meno male che è morto”. Riina riusciva a comandare “perché era ignorante come una capra, ma molto furbo. Organizzava tragedie, metteva tutti uno contro l’altro con le voci che lui stesso faceva circolare, e poi si alleava con uno dei due per ammazzare l’altro. Destinato a essere ammazzato con la tragedia successiva”, racconta Di Matteo.
“Voi parlate sempre di ‘guerra di mafia’, ma la guerra l’ha fatta solo lui, gli altri l’hanno subita. È stato uno sterminio, non una guerra”.
foto archivio
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