La morte di Matteo Messina Denaro apre scenari che preoccupano gli inquirenti. Appena qualche giorno fa nella sua relazione semestrale lo aveva detto la Dia, la direzione investigativa antimafia. All’interno della mafia siciliana tutto era fermo in attesa del decesso del padrino, in fin di vita a causa del tumore. Ora gli scenari appaiono preoccupanti perché si potrebbe innescare una lotta per il successore. E dunque una guerra di mafia non sarebbe per nulla un’ipotesi troppo lontana. Così come potrebbe esserci una spartizione del territorio per far vivere tutte le cosche “felici e contenti”. Tutto si gioca su equilibri sottilissimi.
Il patto e gli equilibri
Il padrino è morto questa notte a 61 anni nel reparto riservato ai detenuti dell’ospedale San Salvatore di L’Aquila dove era ricoverato da agosto per un tumore aggressivo. Lascia un vuoto che Cosa nostra adesso sarà chiamata a colmare. D’altronde lo aveva detto anche la Dia nella sua ultima relazione semestrale. Gli inquirenti drizzano le antenne perché ora accadrà qualcosa all’interno della cupola. Soprattutto si manterranno le vecchie alleanze. In una recente sentenza del tribunale di Asti, fu messo ad esempio nero su bianco la collaborazione tra uomini di ‘Ndrangheta e di Cosa nostra con riferimento al territorio piemontese. In base le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia, alcuni capi di Cosa nostra, tra i quali lo stesso Matteo Messina Denaro, “…avevano stretto un patto con i capi della ‘ndrangheta per lavorare insieme e diventare un’unica famiglia…”.
La mancanza di un riferimento
Prima la cattura e ora la morte di Messina Denaro creano comunque un vuoto nella malavita siciliana. “Priva Cosa nostra – scrive la Dia nella relazione semestrale – di una storica e rilevante figura di riferimento, accrescendo ulteriormente le sue perduranti difficoltà nel reperimento di autorevoli leadership”. Sino ad oggi comunque, non avrebbe inciso sull’operatività dell’organizzazione nel suo complesso e non c’è stata nemmeno un’attenuazione della pressione criminale nel territorio isolano. Le organizzazioni siciliane, secondo la direzione investigativa antimafia, si confrontano con contesti ancora fortemente cedevoli alle intimidazioni mafiose. Questo certamente li ha agevolati sino ad oggi.
La frattura con i Corleonesi oramai sanata
Di una cosa sono certi però gli inquirenti. Cosa nostra esiste ancora e, superata la frattura fra corleonesi e perdenti, prosegue nei suoi traffici. Il tutto attraverso la strategia della sommersione che ha consentito al latitante più ricercato dell’organizzazione di farsi curare in una clinica di Palermo per un lungo periodo, come negli anni ottanta. Le reti di protezione e l’omertà, ben miscelate, consentivano ad altri mafiosi latitanti di girare indisturbati per le vie della città.
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