Seppur con tutta la cautela doverosa in questi casi, la politica occidentale aveva sperato che uno scontro intestino in Russia tra Putin e il suo ex cuoco Prigozhin avrebbe potuto determinare persino la fine della guerra in Ucraina.
L’esercito del Cremlino avrebbe dovuto, infatti, occuparsi della situazione interna, giocoforza allentando la pressione sul campo di battaglia ucraino. Proprio come nel 1917 quando la Russia si ritirò dalla prima guerra mondiale perché impegnata nella rivoluzione che avrebbe portato alla nascita dell’URSS.
Tra l’altro, un periodo storico citato dallo stesso Putin nel suo discorso alla nazione registrato quando la Wagner aveva da poco preso Rostov, sede del quartier generale dell’esercito russo per l’operazione militare speciale in Ucraina, e aveva deciso di intraprendere la ‘marcia su Mosca‘.
Tuttavia, a 200 chilometri dalla capitale, ‘grazie’ alla mediazione del presidente bielorusso Lukashenko su invito di Putin, Prigozhin ha ordinato la fine della corsa verso Mosca per evitare uno “spargimento di sangue tra i russi”, come da lui stesso spiegato in un messaggio su Telegram. Sì, ma a che prezzo? Quali sono stati i termini degli accordi?
Ovviamente, non sapremo mai la verità compiuta. Sarà compito degli storici, forse, tra qualche anno capire cosa sia successo ieri. Dobbiamo, quindi, fare affidamento a ciò che Peskov, il portavoce del Cremlino, ha comunicato al resto del mondo. Ovvero:
- Prigozhin ha accettato l’esilio in Bielorussia e non sarà perseguito penalmente;
- I soldati della Wagner saranno inglobati nell’esercito regolare russo e, anche per loro, la garanzia dell’impunibilità.
Detto così, però, sembra che a vincere sia stato, ancora una volta, Vladimir Putin. Insomma, alla Wagner e al suo fondatore, è stato ‘concesso’ il diritto alla vita. Quindi: perché Prigozhin ha accettato? Quella della Wagner è stata solo una mossa disperata perché già c’era una condanna a morte sul suo capo? O si è trattata di una ‘protesta sindacale‘, cioè mossa da un gruppo paramilitare a libro paga del Cremlino e di cui è stata rimarcata l’essenzialità nella guerra in Ucraina?
Eppure, resta il fatto che i mercenari stavano arrivando a Mosca senza alcun intervento delle forze militari russe (a parte qualche elicottero abbattuto e 15 soldati uccisi) e ci sarebbe stato il rifiuto dei generali di sparare su di loro così da permettergli la strada spianata. Insomma, può reggere che l’accordo per bloccare il tentativo di golpe sia stata soltanto la garanzia alla sopravvivenza e allo status di soldati regolari (tra l’altro, era già previsto che dal 1° luglio sarebbe successo)? No. Ci deve essere per forza dell’altro e potremmo capirlo presto. Ad esempio, se resteranno o meno al suo posto il ministro della Difesa Shoigu e il generale Gerasimov, attuale capo dello stato maggiore generale delle Forze armate russe, ovvero i due bersagli principali di Prigozhin.
Ma è chiaro che bisognava evitare che venisse palesata la debolezza di Vladimir Putin (ormai evidente), per cui i termini dell’accordo diffusi paiono evitarlo, almeno all’interno della Russia, dove l’informazione di massa è controllata dallo Stato e si sta cercando di convincere che quanto successo sia stato più dovuto alle solite cellule terroristiche che a uno dei pilastri della polizia militare russa all’estero.
Morale della favola: Putin resterà al suo posto ma l’Occidente sa che non ci si può più trincerare nella narrazione che lo zar abbia un potere solido e centralizzato. Il governo russo è debole, frammentato e confuso e bisognerebbe approfittarne per permettere alla controffensiva ucraina di allontanare l’invasore dai propri confini. Zelensky lo sta già chiedendo.
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