I disastri ambientali che hanno recentemente interessato in particolare l’Italia centrale con inaudita frequenza e inusuale veemenza, oltre a suscitare sgomento e dolore negli ambiti territoriali colpiti, inducono tutti noi a comprensibili preoccupazioni ed anche a profonde riflessioni.
Cosa sta succedendo? Siamo tutti in pericolo? Perché tante calamità? Si potevano scongiurare? Ed altro.
Ciò vale naturalmente anche con riferimento alla valanga che ha drammaticamente investito l’albergo Rigopiano, causando tante vittime, pur se alcune persone sono riuscite per fortuna a salvarsi, e, fra queste, tutti i bambini presenti nella struttura, con conseguente e generalizzato sollievo. Anche se non risulta, a quanto pare, che gli ospiti dell’hotel siano stati avvisati, da chi ne aveva l’obbligo, del pericolo incombente, sempre che non siano stati addirittura rassicurati!
Non solo, ma è accaduto purtroppo che, ancora una volta, al dolore abbia fatto seguito altro dolore, allorché si apprendeva che in quel contesto era precipitato un elicottero ove prendevano posto alcuni soccorritori e che tutti avevano perso la vita!
In una parola, tante vite spezzate, ma miracolose sopravvivenze. Certo, la magistratura competente svolgerà le indagini occorrenti (già avviate) e accerterà eventuali responsabilità penalmente rilevanti.
Al di là delle risposte giudiziarie, non si può tuttavia negare che grande merito vada attribuito a tutti coloro che sono intervenuti sui luoghi del disastro e lì hanno lavorato instancabilmente con grande abnegazione e altruismo. Bisognerebbe, però, capire, ove gli aiuti disposti fossero giunti sul posto della sciagura con ritardo, se questo sia o meno colpevole e se in ogni caso sia stato causalmente determinante, tenendo anche conto delle condizioni di tempo e di luogo che si stavano affrontando e della qualità e quantità dei presìdi predisposti a fronte di tragedie del genere.
In termini generali, si possono comunque prospettare alcune considerazioni.
Nel nostro Paese la salvaguardia del territorio compete a varie Autorità, nazionali e locali. Fra queste ultime un ruolo fondamentale, com’è noto, viene svolto dai Comuni, deputati, ai fini suddetti, al pieno rispetto di un’equilibrata e sostenibile programmazione urbanistica.
In tale ottica, va ricordato che assume un significato centrale (o dovrebbe assumerlo) la c.d. “pianificazione” della prevenzione, con riferimento precipuo alle zone soggette a evidenti pericoli per le persone, di modo che costruzioni o manufatti di alcun genere non possano divenire in ogni momento una forte minaccia per l’incolumità degli esseri umani.
Bisogna, però, ritornare al lontano 62 d.C. per credere all’ineluttabilità- ricordata da Seneca- del destino avverso, per opera del quale viene irrimediabilmente sconvolta la vita della gente, che nulla è in grado di opporre. Ma oggi la moderna tecnologia, le sofisticate conoscenze scientifiche e le avanzate competenze acquisite valgono ad esaltare, anzi la impongono, un’appropriata e tempestiva predisposizione di validi mezzi di contrasto, che siano in grado di avversare efficacemente l’eventualità di disastri.
La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali va quindi garantita mediante un’adeguata azione informata al principio della prevenzione e, a partite dal 2008, anche a quello della precauzione. Rimanendo comunque l’azione suddetta predisposta alla correzione dei danni causati dall’ambiente stesso.
A proposito del principio della precauzione, questo sin dal 2000 era stato inserito nel trattato sul funzionamento dell’ Unione Europea con lo scopo di garantire appunto un “alto livello di protezione dell’ambiente” grazie a prese di posizioni preventive da parte della Pubblica Amministrazione in caso di rischio, senza contare che le autorizzazioni eventualmente già rilasciate rimangono comunque permanentemente esposte all’esercizio dell’ autotutela, laddove oggettivamente incompatibili.
Ma la precauzione cosa vuole significare? Rivela in realtà che, a fronte di una situazione d’incertezza scientifica, è più che ragionevole adottare una politica di massima accortezza possibile, nel senso che nel campo della salute pubblica e dell’ambiente va applicato il su citato principio cautelativo, che è in grado d’intervenire prima che la scienza si pronunci in via definitiva. Il motto è, quindi, “ evitare per prudenza”: cosi gli americani chiamano questa regola di comportamento.
Ma non basta. Vi è di più.
Alla luce di un principio fondamentale, che trae origine da varie disposizioni costituzionali (artt.23, 97, 24,101 e 113 Cost.) e si trova all’interno di norme di legge in materia emanate, la n°47 del 1985, il d.p.r. n°380 del 2001 e altre successive, la demolizione di un fabbricato abusivo e il conseguente ripristino immediato dello stato dei luoghi (c.d. demolizione d’ufficio), al di fuori di inutili e dilatorie ingiunzioni, rappresentano per gli enti locali una chiara dimostrazione del rispetto del principio di legalità, assegnatari come sono del ruolo primario di prevenzione e repressione di tali reati. Quando lo stato dei luoghi non è cioè irrimediabilmente perduto e la compromissione degli stessi non è ancora in stato avanzato, i Comuni hanno la possibilità, nell’interesse pubblico, di negare, attraverso la diretta rimozione, il proseguimento di edificazioni non consentite, che hanno evidenziato una inescusabile situazione di grave pericolo.
Esistono, quindi, e da tempo, le leggi che consentono di difenderci meglio da calamità ed avversità di ogni genere: bisogna, però, volerle e saperle eseguire, secondo un armonico insieme e alle condizioni meno onerose, come da d.l. n°95/2012 sulla revisione della spesa pubblica (spending review). D’altronde, come ha attestato nel 2007 la Corte Europea del Diritti Umani (CEDU), pur in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna, l’ente locale non viene tuttavia esonerato dai suoi doveri nell’ambito del contrasto dell’abusivismo edilizio, anche con riguardo all’abbattimento degli immobili irregolarmente realizzati.
Da tutto ciò deriva altra diversa considerazione, che riconduce alle incombenze dei pubblici amministratori.
Un gravoso compito spetta oggi in effetti a Sindaci, Assessori e Dirigenti dei Comuni, grandi o piccoli che siano, ai quali, in considerazione delle variegate attribuzioni in più ambiti (compreso quello urbanistico-ambientale), si richiedono doti non comuni di capacità organizzative, competenza, equilibrio, etc.
Dovrebbero però saper dimostrare in ogni momento quali obiettivi siano stati coltivati e quali progetti abbiano raggiunto il traguardo prefissato, ciò facendo senza ambire a interessati e rumorosi consensi, ma preferendo al contrario anche i c.d. “silenzi assordanti”, evocati spesso per indicare un mancato sostegno, sempre dovendo operare con moderazione, onestà e impegno. Senza contare inoltre che le valutazioni che si esprimono non dovrebbero mai essere superficiali, né dettate da nociva e disinvolta benevolenza.
Il compito dei pubblici amministratori dovrebbe quindi essere sempre rivolto all’osservanza di regole rigorose, specie quando sia in discussione la sicurezza degli edifici, ove contiamo di vivere, dalle abitazioni alle scuole, uffici, fabbriche etc.
Richiamo, in proposito, l’auspicio (che condivido) di Stefano Maglia, noto giurista, allorché già nel 1999, a fronte di situazioni analoghe a quella riguardante Rigopiano, così argomentava: “Si faccia finalmente chiarezza e che le lezioni del passato ci aiutino a trovare la strada giusta, verso uno sviluppo realmente sostenibile e rispettoso della natura e della salute”.
Speriamo di non dovere ancora ricorrere nel futuro a uguali conclusioni!
Desidero infine terminare con un ultimo rilievo, che tende a commentare la tragedia da un altro punto di vista.
Posto che il dramma descritto ha dato origine a polemiche, alcune peraltro inevitabili e scontate, rimane comunque l’obbligo morale, per chiunque risulti informato su fatti di rilievo, di offrire il proprio contributo, se necessario anche con il riconoscimento di errori commessi, per la corretta ricostruzione della catastrofe , dalla quale è derivata una sventura collettiva di ampie proporzioni ed indescrivibile portata. Non possiamo, pertanto, che augurarci che la genuinità del vero riesca a prevalere sulla inaccettabilità del falso e dell’impostura: in caso contrario, rimarrebbero ingiustamente calpestati e mortificati la dignità e il dolore di chi ha tanto sofferto e che chiede oggi solo di potere ricevere una risposta chiara sull’accaduto e di potere quindi confidare sulla affidabilità dei risultati conseguiti dall’inchiesta in corso.
A ben pensarci, il ragionamento di cui sopra conduce inevitabilmente ad altra riflessione, se pure di carattere generale, basata sulla comune esperienza di ciascuno – mi sia consentita la brevissima digressione – allorché, trovandosi, suo malgrado, al cospetto della concretezza della vita, con le asprezze e le delusioni che a volte essa comporta, ha dovuto fronteggiare il soffocante sgomento e l’intollerabile disperazione di una sconvolgente tragedia, come quella in esame.
Eppure, bisogna sempre opporsi alle bugie e rifiutarle categoricamente, lottando anche quando sembrano incredibilmente prevalere, perché la menzogna – da taluni assunta a sistema di vita- altro non è se non un’ignobile, angosciante e beffarda violenza, che persone senza scrupoli, abituate ad utilizzare la mistificazione per il raggiungimento di scopi personali ( anche inconfessabili), impongono a leali ed affidabili destinatari, riuscendo a carpirne fiducia piena e ad abusarne con spietato cinismo.
In ogni caso, fa sempre male, molto male, specialmente quando può coinvolgere o riguardare Persone che non sono più fra noi!