Ieri, durante la trasmissione Non è l’Arena, il conduttore Massimo Giletti ha letto una missiva ricevuta da Fabrizio Corona, ricoverato nel reparto psichiatrico dell’Ospedale Niguarda di Milano, in attesa di essere trasferito nel carcere di Opera dopo la decisione dei Giudici del Tribunale di Sorveglianza.
La lettera del siciliano di 46 anni comincia così:«Dite a Massimo che sto male, sto molto male, e voglio che Massimo sappia che cosa mi è successo ieriHo chiesto di poter andare in bagno a fumare. Mi hanno dato un accendino, sono controllato a vista praticamente da tre uomini della polizia penitenziaria. Mi siedo sul water e mi metto a fumare a torso nudo coi pantaloni tirati su. Vedo sul mio braccio destro la ferita del giorno prima, due punti di sutura, me la sono fatta pugnalandomi con una penna Bic. La guardo, fumo, la riguardo, a quel punto scatta qualcosa nel mio cervello, trovo dei leggenti (Giletti ha detto che non sa cosa siano) – provo a scavare nella ferita ma sono leggeri e si rompono. Sono da solo in un cesso schifoso, circondato da urla di povera gente disgraziata. Mi avvicino con la bocca alla ferita, a poco a poco spingendo sempre più di più riesco ad afferrare i punti del giorno prima con la bocca e con i denti. Li tiro, si rompono».
Corona ha aggiunto: «Schizza il sangue, ovunque, sulla faccia, sulla bocca, sulle braccia, sugli occhi, sul petto. Sento uno strano sapore, mi piace, è amaro, e continuo, sono convinto che dentro la ferita ci siano i pezzi dell’ambulanza rotta. È notte e come un cannibale mordo tutto, pelle, file di punti, carne, tatuaggi, pezzettini di vetro. Sono incontenibile, non ho più freni».
Infine, Corona ha scritto. «Un uomo di 47 anni seduto sul cesso che si mangia il suo braccio, c’è chi urla, chi piange, chi mi abbraccia, io sono impassibile, guardo solo il vuoto, sono uno psicopatico in un ospedale psichiatrico. Massimo devi sapere, quando il giorno della revoca (della detenzione domiciliare, n.d.r.) mi sono tagliato una lama affilata il braccio sinistro maciullandomi, non ho provato dolore, nemmeno quando con un pugno ho rotto il vetro dell’ambulanza, io non avevo dolore, non avevo paura e non mi interessava il rischio della morte. Sono pronto a morire per i miei diritti. Nulla, Massimo lo deve sapere, era premeditato».