I medici del pronto soccorso del Denver Health Hospital in Colorado, negli Stati Uniti d’America, hanno curato una donna di 40 anni che lamentava forti mal di testa, pressione sinusale, dolori muscolari e alla gola.
La donna, nella sua storia clinica, non aveva alcun passato di trombosi o disturbi circolatori, cancro o problemi di coagulazione. I medici le hanno dapprima preascritto un trattamento in base ai suoi sintomi, senza effettuare esami. Quattro giorno dopo, però, la paziente è tornata al pronto soccorso: i mal di testa erano sempre più presenti, soprattutto quando si muoveva e in caso di luce troppo forte.
Di conseguenza, i medici hanno approfondito il caso: la donna non aveva febbre, debolezza, disturbi della vista o del linguaggio. Il tampone al coronavirus, inoltre, era risultato negativo. La paziente, però, ha raccontato di essere stata vaccinata con il siero di Johnson & Johnson dodici giorni prima. Inoltre, gli esami del sangue hanno evidenziato la trombocitopenia e un livello alto di D-dimeri, cioè due marker biologici che indicano una trombosi trombocitopenica atipica. Poi, è stata osservata la presenza degli anticorpi anti-PF4, un altro marker di trombosi trombocitopenica indotta dalla vaccinazione (VITT).
In relazione a tutto ciò, i medici hanno scansionato il cervello della donna e hanno individuato una trombosi venosa cerebrale nei seni sinusali e trasversali, fino alla vena giugulare.
I medici hanno, quindi, deciso di somministrare alla donna la bivalirudina per via endovenosa: un anticoagulante che inibisce specificamente la trombina, uno dei fattori della coagulazione. La paziente è rimasta in cura per sei giorni durante i quali la sua conta piastrinica è tornata alla normalità. Dopo la dimissione dall’ospedale, il suo mal di testa si è placato e non ha sofferto delle conseguenze della sua trombosi venosa cerebrale.
Questo caso di studio è il primo a descrivere la gestione di VITT esclusivamente con un’alternativa all’eparina. Fonte: Futura-Sciences.com.