Sebbene esistano regole e tempi previsti che scandiscono gli intervalli ai quali fare i richiami sia dopo ciascuna dose del vaccino, sia dopo un’infezione, la circolazione sempre più rapida della variante Omicron potrebbe rendere necessario individuare con una precisione maggiore il momento più opportuno per vaccinarsi, considerando anche il livello degli anticorpi.
“In futuro potrebbe diventare sempre più importante individuare il momento esatto nel quale è ora di fare il richiamo e potrebbe diventare anche un modo per contingentare i vaccini”, osserva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Sulla stessa linea è il segretario della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), Silvestro Scotti, per il quale l’infezione da SarsCoV2 è stata finora equivalente a una dose di vaccino, vale a dire che “se un soggetto si ammala tra una somministrazione di vaccino anti-Covid e l’altra, la tempistica per l’eventuale dose successiva è calcolata su queste basi, ma su questo punto sarebbe necessario un chiarimento”.
Le regole attuali previste dal ministero della Salute indicano che in caso di malattia la prima dose di vaccino vada fatta entro un anno con una dose booster almeno dopo 120 giorni, se invece ci si vaccina dopo un anno dalla malattia è necessaria anche una seconda dose a 21-28 giorni, seguita dal booster dopo almeno 120; se invece si contrae l’infezione dopo la prima dose, se non sono ancora passati 14 giorni si prevede una dose booster dopo almeno 120 giorno, oltre 14 giorni la seconda dose va fatta entro sei mesi e la terza dopo almeno 120 giorni; se poi l’infezione avviene dopo la seconda dose, la terza va fatta dopo almeno 120 giorni.
Con il progredire della pandemia stanno emergendo situazioni nuove. Per esempio, osserva Scotti, c’è chi fa la terza dose senza sapere di essere positivo perché asintomatico, dal momento che non c’è un’indicazione al tampone prima della vaccinazione.
In futuro potrebbe anche diventare necessario poter personalizzare i tempi dei richiami a seconda del livello degli anticorpi: questo permetterebbe di vaccinarsi solo quando le difese immunitari si sono ridotte e si è indifesi davanti al virus. In futuro questo potrebbe diventare utile, per esempio in vista di un’eventuale quarta dose.
Esistono già i test che permettono di misurare gli anticorpi e sono i test sierologici che è possibile fare negli ospedali e nei laboratori specializzati, sono appena arrivati nuovi test, più facili ed economici.
I test classici per la misura degli anticorpi neutralizzanti sono affidabili e, sebbene il livello possa variare da individuo a individuo, esiste una soglia oltre la quale si è protetti e che è indicata in 500 BAU per millilitro, secondo l’unità di misura Binding Antibody Unity fissata come standard dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Test di questo tipo si fanno nei laboratori di analisi, gli stessi ai quali ci si rivolge per i test molecolari e costano fra 20 e 25 euro.
Esistono poi altri test semi-quantitativi, anche questi basati su un’analisi del sangue prelevato con il pungidito, che cercano gli anticorpi neutralizzanti e danno una risposta attraverso una banda colorata, i cui gradi corrispondono a diversi livelli di titolo anticorpale, da 300 BAU che corrisponde a un basso livello di protezione, fino a 1.000 BAU. Il costo è analogo a quello dei test che si fanno in laboratorio.