La mortalità dei pazienti in terapia intensiva aumenta quando il Covid-19 provoca un doppio danno al polmone, colpendo gravemente sia gli alveoli che i capillari polmonari.
Si tratta del meccanismo scoperto e descritto da uno studio italiano, capofila il Sant’Orsola di Bologna e pubblicato su Lancet Respiratory Medicine il 27 agosto, i cui risultati consentiranno di individuare rapidamente chi è più a rischio così da mirare le terapie.
Due esami identificano questa condizione la cui diagnosi precoce, insieme al supporto delle massime cure disponibili in terapia intensiva, si stima possa portare a un calo della mortalità fino al 50%.
Nel dettaglio, lo studio è stato condotto su 301 pazienti di Policlinico di Sant’Orsola di Bologna, Policlinico di Modena, Ospedale Maggiore, il Niguarda e l’Istituto Clinico Humanitas di Milano, l’Ospedale San Gerardo di Monza e il Policlinico Gemelli di Roma. È stato coordinato dal professor Marco Ranieri, direttore dell’Anestesia e Terapia Intensiva Polivalente del Policlinico di S. Orsola, con il coinvolgimento del professor Franco Locatelli dell’Ospedale Bambino Gesù, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del CTS.
Il Sars-Cov-2 può danneggiare entrambe le componenti del polmone: gli alveoli, cioè le unità del polmone che prendono l’ossigeno e cedono l’anidride carbonica, e i capillari, i vasi sanguigni dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno.
Quando il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari polmonari muore quasi il 60% dei pazienti. Quando danneggia un solo componente, a morire è poco più del 20% dei pazienti.
Il fenotipo, cioè il modo in cui si manifestano le condizioni, dei pazienti col ‘doppio danno’ è facilmente identificabile attraverso la misura di un parametro di funzionalità polmonare (la distendibilità del polmone minore di 40, a fronte di un valore normale di 100) e di un parametro ematochimico (il D-dimero maggiore di 1.800 con valore normale 10).
Questi risultati hanno importanti implicazioni sia per le cure attualmente disponibili che per i futuri studi su nuovi interventi terapeutici. Il riconoscimento rapido del fenotipo col ‘doppio danno’ consentira’ una precisione diagnostica molto più elevata e un utilizzo delle terapie più efficace, riservando a questi malati le misure più ‘aggressive’, come la ventilazione meccanica, la extra-corporeal membrane oxygenation (Ecmo), trattando invece con la ventilazione non invasiva col casco e il ricovero in terapia sub-intensiva i pazienti con ‘danno singolo’.
Nel futuro questi risultati consentiranno di identificare rapidamente i pazienti in cui testare trattamenti sperimentali con anti-coagulanti per prevenire il danno ai capillari polmonari.
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