Una squadra di scienziati in Thailandia, ricercatori della Prince of Songkla University, ha riportato la prima prova solida di un gatto domestico che ha contagiato un essere umano con il SARS-CoV-2. Lo studio è stato pubblicato su Emerging Infectious Diseases.
Da sottolineare subito che, considerando la grande diffusione dei gatti come animali domestici, il fatto che ci sia voluto così tanto tempo per dimostrare questa eventualità potrebbe significare che il contagio da gatto a uomo è raro. Infatti, secondo gli esperti non c’è alcun tipo di allarme: resta sempre più probabile che il virus passi dall’uomo all’animale.
Come riportato dallo studio, tutto è cominciato da un gatto domestico di 10 anni, di proprietà di un padre e figlio di Bangkog ricoverati per il Covid-19. L’animale è stato, quindi, inviato in una clinica veterinaria per un tampone. Durante l’esecuzione del test, il felino avrebbe staturnito sul volto della veterinaria, una donna di 32 anni che indossava guanti e mascherina ma non una protezione davanti agli occhi. Dopo alcuni giorni, la veterinaria è risultata positiva al coronavirus con sintomi.
Ebbene, l’analisi del genoma virale isolato dal suo tampone ha dimostrato che era stata colpita da una versione della variante Delta che non era diffusa in quel periodo nella città di Songkhla ma la sequenza genetica è risultata uguale a quella del virus che aveva colpito il gatto e i suoi due padroni.
Sulla vicenda, intervistata dal Corriere della Sera, è intervenuta la virologa italiana Ilaria Capua: “Non vi preoccupate: è altamente improbabile che vi prenderete il Covid-19 dal gatto di casa. Non solo perché è un’evenienza molto rara, ma perché è stato un caso di reverse spillover: il gatto ha preso il virus dall’homo sapiens e lo ha ritrasmesso con uno starnuto. Che i gatti potessero infettarsi lo sapevamo perché anche i grossi felini, sia tigri che leoni, hanno preso il virus. Chiaro che se un felino si infetta e vi è intensa replicazione virale in corso ti puoi prendere l’infezione, soprattutto se dorme sul tuo cuscino”.
La scienziata ha aggiunto: “Quello che bisogna comprendere è che questo virus non infetta solo l’homo sapiens ma circa 50 specie di animali, anche se nella stragrande maggioranza di questi casi il virus è autolimitante, si estingue senza grosse conseguenze per l’animale e senza allargare il contagio. In poche parole tranne alcune eccezioni l’animale non è un amplificatore”.
E ancora: “Non ci sono evidenze di un ritorno del Covid-19 all’essere umano. Preoccupa invece che cervi con il virus sono stati trovati in oltre venti Stati american. Siamo all’inizio di un macrociclo di circolazione virale: come una cascata che va a raccogliersi in molte pozze. Dobbiamo aspettarci che gli animali si infettino e dobbiamo stare attenti perché il problema è che se il virus si endemizza in una popolazione di animali, a quel punto si potrebbero selezionare virus antigenicamente diversi. Come potrebbero tornare indietro? Non lo sappiamo, ma potrebbero anche essere più aggressivi. Ciò che deve preoccuparci è la magnitudo del fenomeno. Purtroppo non è finita”.