No, il dott. Liu Zhiming dell’ospedale di Wuhan non è morto. Ma è ancora in cura. Lo sostiene, come riportato sul Daily Mail, un funzionario sanitario di Hubei, la provincia della Cina più colpita dall’epidemia di coronavirus.
Il medico, insomma, si troverebbe in rianimazione dopo essersi ammalato gravemente, secondo un resoconto condiviso sui social media da un dirigente della Commissione sanitaria provinciale.
Questa notizia, naturalmente, richiama alla memoria quella della morte di un altro medico, Li Wenliang, punito per avere lanciato l’allarme sul coronavirus anzitempo e poi deceduto all’inizio di febbraio in seguito all’infezione. Tra l’altro, l’ospedale in cui operava il dr. Wenliang aveva negato la sua morte, confermata soltanto nelle prime ore del giorno successivo. Una mossa che ha causato molta indignazione da parte dell’opinione pubblica e l’accusa nei confronti dell’ospedale di volere insabbiare la verità.
La notizia del decesso del dott. Liu, invece, è stata riportata per la prima volta da Red Star News su Weibo, l’equivalente cinese di Twitter. Parte del post diceva: «Piangiamo il primo direttore dell’ospedale che si è sacrificato». Inoltre, Red Star News sosteneva di avere parlato con un medico dell’ospedale di Wuchang, di cui però non è stato diffuso il nome, che ha riferito al giornale di essere rattristato per la scomparsa del collega. Ma un’ora dopo questa indiscrezione un funzionario della Commissione sanitaria provinciale di Hubei ha affermato che il dott. Liu era in rianimazione. Quindi, non è morto anche se bene non sta.
Al momento, l’unico medico di alto profilo vittima del coronavirus è l’ormai tristemente famoso dott. Li Wenliang, che lavorava al Wuhan Central Hospital, lo stesso del collega Li Zhiming: uno dei primi medici a riconoscere la pericolosità della polmonite di Wuhan, lanciando l’allarme sul virus il 30 dicembre 2019, ovvero quasi un mese prima della comunicazione pubblica da parte delle autorità sanitarie cinesi anche se da ieri sappiamo che il presidente Xi Jinping sapeva del coronavirus almeno nella data del 7 gennaio.
Wenliang, morto nelle prime ore del 7 febbraio, era stato rimproverato dalla polizia e accusato di avere diffuso una fake news quando aveva avvertito sui social media della presenza della «SARS in un mercato di frutti di mare a Wuhan». Insomma, un post datato due settimane prima dell’avvio dell’epidemia del coronavirus nella città con 14 milioni di abitanti, ‘chiusa’ dal 20 gennaio. Ciò che resta da tutto questo è l’amara consapevolezza che dalla Cina sappiamo soltanto ciò che vogliono che noi sappiamo. E non è complottismo ma una constatazione.
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