C’è anche l’ex questore di Palermo Renato Cortese tra gli imputati assolti in appello nell’ambito del processo scaturito dal caso del trattenimento e dell’espulsione dall’Italia di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, e della figlia Aula. Il superpoliziotto in primo grado aveva avuto 5 anni ed era stato rimosso dall’incarico, ieri la sentenza è stata ribaltata.
In particolare, la Corte di appello di Perugia ha assolto con formula piena gli imputati accusati di sequestro di persona per le presunte irregolarità legate al rimpatrio di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa verso il Kazakhstan nel 2013 insieme alla figlia Alua e poi entrambe tornate in Italia.
Tra loro gli ex capi della squadra mobile e dell’ufficio immigrazione della questura di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta. Assolta anche l’allora giudice di pace Stefania Lavore alla quale comunque non era stato contestato il sequestro di persona.
La sentenza d’appello ribalta quella di primo grado per la quale gli imputati erano stati tutti condannati: Renato Cortese, Maurizio Improta, Luca Armeni e Francesco Stampacchia a 5 anni Vincenzo Tramma a 4 anni, Stefano Leoni a tre anni e sei mesi. Erano stati tutti riconosciuti responsabili di sequestro di persona. La decisione di primo grado, emessa il 14 ottobre del 2020, aveva portato alla rimozione dall’incarico del superpoliziotto, che nella sua carriera, prima di guidare la questura di Palermo, aveva catturato, tra gli altri, boss latitanti del calibro di Bernardo Provenzano, Enzo e Giovanni Brusca, Pietro Aglieri e Gaspare Spatuzza.
Il caso al centro del processo risale alla notte tra il 28 ed il 29 maggio del 2013, quando Alma Shalabayeva e la figlia furono prelevate dalla polizia nella loro abitazione di Casalpalocco. Gli agenti, in realtà, cercavano il marito, ma alla donna venne comunque contestata l’accusa di avere un passaporto falso. Due giorni dopo venne firmata l’espulsione e madre e figlia vennero rimpatriate in Kazakistan. Tornarono poi in Italia nell’aprile del 2014 e a Shalabayeva venne riconosciuto l’asilo politico. Dopo l’episodio vi furono anche conseguenze politiche: a luglio del 2013, infatti, si dimise il capo di gabinetto del ministero dell’Interno, Giuseppe Procaccini, mentre non passò la mozione di sfiducia per l’allora capo del Viminale, Angelino Alfano.
La difesa di Cortese, rappresentata dagli avvocati Franco Coppi ed Ester Molinaro, ha sempre sostenuto che per l’ex questore di Palermo “che Shalabayeva rimanesse in Italia, fosse trattenuta o esplusa, erano questioni che per lui si possono definire assolutamente irrilevanti. Il suo interesse era un altro: catturare una persona, Muktar Ablyazov, che oggi viene indicato come martire ma che, in quel momento, venne segnalato da tutti come un pericoloso delinquente, una persona che ha rapporti con terroristi, se non terrorista lui stesso, accusato di aver commesso reati patrimoniali di rilevante entità”.
“L’assoluzione di Renato Cortese – dichiara Claudio Fava – è il segno di una Giustizia che, quando vuole, riesce sempre a ritrovare il filo della verità. A Cortese l’abbraccio e la stima mia e dell’intera commissione antimafia dell’Ars”.