Da Carmencita che chiude il gas per seguire il suo amore, alle ingiustizie riservate al pulcino nero Calimero, fino alla confessione dell’ispettore, interpretato da Cesare Polacco, che ammette di aver commesso anche lui un tragico errore e così dicendo scopre la testa evidenziando una diffusa pelata senza possedere il fascino di Yul Brinner, furono più di 7.000 gli episodi originali trasmessi in 20 anni.
Ogni filmato di Carosello, era composto da uno “spettacolino” di 1’e 40”, seguito da un “codino” pubblicitario di 35”. Lo spettacolino poteva consistere in scenette comiche, parodie, canzoni, recital di attori, ma in esso non si poteva fare la minima allusione al prodotto.
Al prodotto erano riservati i 35″ del codino, ma non poteva essere citato per più di cinque volte. Questa rigida struttura rimase pressochè invariata nei vent’anni di programmazione cadenzando la vita e le abitudini di adulti e bambini. Per i bambini la fine di Carosello rapprentava la fine di un’intensa giornata e il momento della buona notte; per nonni e genitori era il segnale di un conquistato tempo per conversare liberamente, per occuparsi dei problemi di casa – bambini compresi – senza doversi interrompere ogni due per tre per richiamare all’ordine le creature.
Carosello rappresentò un utile compromesso per la Rai: traghettare l’immorale spinta ai consumi verso ovattati approdi che richiamavano il racconto leggero, la favola da sogno, la parabola educativa. Buone pratiche che nell’Italia del dopo ricostruzione e del pre miracolo erano ancora rispettate e insegnate. Anche un po’ di sano doppiopesismo democristiano che permetteva di fare quasi tutto purché non si esagerasse con spettacolarizzazioni moralmente eccepibili.
Missione compiuta. Non solo il contenitore funzionò egregiamente fino a quando rimase in onda, ma lasciò un segnale indelebile nella comunicazione pubblicitaria italiana, in particolar modo in quella televisiva.
Un segnale non zuccheroso e mai favolistico che ha segnato spesso il destino delle nostre agenzie pubblicitarie così come quello dei creativi di casa nostra. La réclame, a volte impropriamente chiamata propaganda ma non ancora pubblicità, si era conquistata spazio nei piani dei produttori industriali e acceso riflettori nell’immaginazione del popolo dei consumatori: i cartelloni con potenti illustrazioni a colori, le carovane di auto al seguito dei grandi appuntamenti ciclistici con sovra strutture giganti per decantare le virtù sbiancanti di un dentifricio, la seducente magia di un liquore alle erbe di montagna o l’indiscutibile affidabilità dell’antidolorifico per definizione, il Viamal, sono stati i primi “consigli per gli acquisti” della contemporaneità.
E quando la Rai decise di mettere in campo il più potente dei mezzi, da parte degli imprenditori scoppiò la gara ad accaparrarsi gli spazi/tempo (così si chiamavano) rigidamente regolamentati ma con qualche bug nel meccanismo di assegnazione.
Le agenzie si dotarono delle competenze necessarie, gli uomini di cinema si resero conto delle nuove straordinarie opportunità, il mondo degli attori, sempre un po’ affamato, ricominciò a sperare, il popolo degli spettatori televisivi, invece, non sospettava che oltre il rito ingenuo di Carosello l’attendeva un futuro da consumatori compulsivi.
In breve tempo intorno a Carosello crebbe una comunità di professionisti con interessi convergenti, con una propria fisionomia e un preciso modello di riferimento.
Lo spettacolino da subito si trovò a declinare i tipi della commedia all’italiana (già solida garanzia di successo), dalla brillantina al confetto lassativo, dall’elettrodomestico al dentifricio, per finire con la potente benzina italiana, con forti caratterizzazioni regionali, toni macchiettistici e dai risvolti comici garantiti.
E per tutto il ventennio questa è stata la cifra della creatività italiana: strappare la risatina, esacerbare la rivalità tra campanili, promuovere ogni sorta di vernacolo, senza preoccuparsi di un minimo di attinenza tra story e brand o tra story e caratteristiche del prodotto. Più di 7000 commediole, spesso molto ben costruite, contenute nel tempo di cento secondi con l’aggiunta di un codino piattamente dedicato al prodotto.
Questo ha posto la pubblicità italiana ai margini della tendenza internazionale impegnata a coniugare creatività e marketing, la quasi scienza creata per dare dignità economica e valenza di investimento alla comunicazione.
La sollecitazione all’acquisto, in assenza di un minimo di consapevolezza dei meccanismi di funzionamento del mercato, era demandata ai testimonial di cui se ne fece un uso smodato.
La loro simpatia e la loro capacità di catturare l’attenzione sono stati i tramiti dell’effetto ricordo. Giovani attori, ottimi caratteristi, piacevoli soubrette, navigati guitti dell’avanspettacolo, per ventanni si sono assunti il compito di posizionare grandi e piccole marche sui mercati del mondo. Ma per i pubblicitari italiani il mondo non si è mai aperto.