Inaugurata ieri al Palazzo Reale di Milano la mostra evento “ideata e curata da Maria Cristina Bandera, che ormai da anni ha reso il pittore bolognese, insieme a Carlo Carrà, il suo cavallo di battaglia, curando mostre a livello internazionale a loro dedicate.
A circa trent’anni dall’ultima rassegna milanese, la mostra si pone tra le più importanti e complete retrospettive su Morandi realizzate negli ultimi decenni, enfatizzando e celebrando il rapporto elettivo tra la città meneghina e il pittore bolognese.
Ma qual è effettivamente il legame tra Milano e l’artista di via Fondazza 36, indefessamente chiuso nelle sue stanze a dipingere in infinite declinazioni gli stessi oggetti (principalmente bottiglie), e che dal capoluogo lombardo passò soltanto una volta?
Si tratta in realtà di un rapporto intenso e di stampo mecenatico, che cominciò quando il Comune, primo ente pubblico in assoluto, acquistò alla XVII Biennale di Venezia del 1930 una “Natura morta”, ora al Museo del Novecento, e proseguì trovando nelle sue case i maggiori collezionisti dell’artista, come Vitali, Feroldi, Scheiwiller, Valdameri, De Angeli, Jesi, Jucker, Boschi Di Stefano, Vismara – i cui acquisti arricchiranno negli anni a venire le collezioni dei più importanti musei milanesi.
Esposizione raccoglie 120 opere
L’esposizione raccoglie un corpus espositivo di 120 opere, suddivise in sezioni che coprono l’intero arco produttivo del maestro emiliano: dai primi lavori, che risentono in modo evidente delle avanguardie del tempo (come cubismo e futurismo), a quella metafisica che tanto fece infuriare De Chirico, attraversando il periodo delle incisioni e della pittura tonale, fino al ritorno alla tradizione.
Molto interessante anche la ricostruzione in video della camera-studio di Bologna, luogo elettivo di artistica solitudine di Morandi, bisognoso di pace e tranquillità per dedicarsi al meglio alla propria ricerca pittorica tra astrazione e realtà.
Un allestimento lineare ed elegante per una mostra che si pone, innanzitutto, di sfatare lo stereotipo del pittore semplicistico e ripetitivo delle nature morte.
Quello che importa è toccare il fondo, l’essenza delle cose”, diceva egli stesso per spiegare la sua arte, pulita e rigorosa, adatta a interpretare l’infinito.
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