Oltre lo stretto

Albero di Natale, è il momento. Linee guida (semi serie) per realizzarlo al meglio

Impazienti come un condannato a pena detentiva che va a donne dopo aver scontato la sua pena, così anche voi avete deciso di tirarlo fuori prima del previsto…l’albero di Natale, ovviamente.

Dopo essere stato, per 12 mesi, imballato in uno scatolone o immobilizzato in un lungo e stretto sacco nero ricoperto di scotch (da farvi venire il dubbio se ci fosse avvolto l’albero o il cadavere di Piero Fassino; solo che al primo qualche palla è rimasta attaccata, al secondo sono cadute tutte), ritorna a fare la sua apparizione, in condizioni sempre peggiori di anno in anno e rimaneggiato (no, non sto parlando del Governo): l’albero di Natale.

All’inizio, carica di entusiasmo, stai attenta ai colori, alle luci, ai dettagli…poi, tra il cane che ha trovato un posto appartato ma illuminato dove pisciare, il gatto che si attacca alle luci perché stanco di questa vita e ancora ne ha altre 6, i figli che dopo il latte si mangiano le palle per farsi la bocca, la domestica che gli si avvicina con la leggiadria di Rino Gattuso dei tempi d’oro… te lo ritrovi dimezzato come l’elettorato grillino.

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Per coprire i buchi gli fai il riporto, tiri di qua e tiri di là che manco il chirurgo plastico della Bernini, gli attacchi di tutto, pure le palle di tuo marito se non le ha ancora perse dopo aver saputo che passerà il Natale dalla suocera e lo “attacchi” al muro per non far vedere che dietro è più nudo di un’aspirante fashion blogger su Instagram.
Le luci ormai sono intermittenti perché si stanno fulminando e così, per illuminarlo, lo metti accanto al televisore, sintonizzato su Paola Ferrari; almeno ti senti meno coglione nel pagare il canone Rai.

E infine lui: il puntale.
Dopo averlo posizionato, tutti devono trattenere il respiro fino al 6 gennaio e camminare con la stessa disinvoltura di Mattarella dopo una colonscopia.

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E vogliamo parlare del presepe?
Dopo anni e anni non è più un presepe ma una soap opera. È “Un posto al sole” di Betlemme.
Ci sono i fedelissimi e quelli che vanno via perché azzoppati dopo l’ultimo imballaggio o mozzicati dallo stesso cane che piscia sotto l’albero.

Ogni anno, ti tocca rimpiazzarli prima che la pecorella che cade ogni 5 minuti (se tutte le vostre pecore si reggono bene, avete studiato come si posizionano da Rocco Siffredi) si accorga che il pastore è cambiato o che le anatre si accorgano che quelli sono fenicotteri rosa di ritorno da Ibiza e Formentera e che non sono sotto l’effetto del muschio.
Da novembre parte il calcio mercato del presepe: prendi a calci tuo marito per aiutarti a ricompattare la squadra, spendendo quanto la Juve per accalappiarsi Ronaldo o, per i nostalgici interisti, quanto Moratti durante tutta la sua presidenza. Per risparmiare, compri San Giuseppe e Maria dai cinesi e, come Moratti, gli cambi il passaporto e, infine, per rendere Gesù bambino credibile come “loro” figlio, evitando che pure i Re Magi lo prendano per il culo, spostando l’attenzione dai loro regali di merda che manco tua zia di settimo grado, metti al posto del bambinello, la figurina di Alvaro Recoba.

Adesso il Natale può avere inizio mentre Michael Bublé intona “All I Want Fol Chlistmas Us You”, anche lui, ovviamente, rigorosamente Made in Cina.

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