La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la condanna all’ergastolo per Antonio De Pace, l’infermiere originario del Vibonese che il 31 marzo 2020 uccise la fidanzata Lorena Quaranta a Furci Siculo (Messina). La sentenza ribadisce il verdetto precedente, nonostante la richiesta di 24 anni di reclusione avanzata dalla Procura Generale, che aveva ipotizzato l’attenuante dello “stress da Covid”.
La Corte ha respinto la tesi dello “stress da Covid” come attenuante, ipotesi avanzata dalla Cassazione che aveva disposto un nuovo processo d’appello. De Pace, infermiere vibonese, uccise la fidanzata Lorena Quaranta, studentessa di medicina originaria di Favara (Agrigento) e iscritta all’Università di Messina, durante il primo lockdown nazionale.
Mentre la Procura Generale aveva chiesto una riduzione della pena a 24 anni, i legali della famiglia Quaranta avevano insistito per la conferma dell’ergastolo. La difesa di De Pace, rappresentata dagli avvocati Salvatore Staiano e Bruno Ganino, aveva invece chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il 21 marzo 2020, la giovane studentessa di medicina Lorena Quaranta venne tragicamente uccisa a Furci Siculo (Messina) dal suo fidanzato, l’infermiere Antonio De Pace. Oggi, la Procura generale di Reggio Calabria ha richiesto una condanna a 24 anni di carcere per De Pace. Il processo, giunto in Corte d’Assise d’Appello dopo l’annullamento parziale della precedente sentenza di ergastolo da parte della Cassazione, è stato rinviato al 28 novembre per la decisione finale.
La Cassazione, pur confermando la responsabilità penale di De Pace, aveva disposto un nuovo esame del caso in merito al diniego delle attenuanti generiche. I giudici di secondo grado, secondo la Suprema Corte, non avrebbero adeguatamente considerato lo stato di “stress” dell’imputato, potenzialmente influenzato dall’emergenza pandemica da Covid-19. Questo nuovo processo, spostato a Reggio Calabria, si concentra dunque sulla valutazione di tali attenuanti.
Il sostituto procuratore generale Domenico Galletta ha chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche, ritenendole equivalenti all’aggravante derivante dalla relazione affettiva e dalla convivenza tra vittima e imputato. Da qui la richiesta di 24 anni, la pena massima prevista in questo caso. La difesa di De Pace, rappresentata dagli avvocati Salvatore Staiano, Bruno Ganino e Marta Staiano, sostiene invece che il delitto non sia riconducibile a un movente preciso, ma piuttosto a uno stato di angoscia incontrollato che avrebbe spinto De Pace anche a due tentativi di suicidio.
Il dibattito in aula si è concentrato sulla possibilità che De Pace fosse in grado di controllare il suo stato d’angoscia. Il pg Galletta ha sollevato interrogativi sulla capacità di freno dell’imputato, mentre l’avvocato di parte civile, Giuseppe Barba, ha contestato la rilevanza dello stato d’angoscia, sottolineando la brutalità dell’omicidio e la mancanza di pentimento da parte di De Pace. L’avvocato Salvatore Staiano, per la difesa, ha ribadito che la pena deve essere proporzionata al reato. L’attesa è ora per la sentenza del 28 novembre, che chiarirà definitivamente la pena per Antonio De Pace.