Diventa dello Stato l’impero dell’imprenditore della provincia messinese Nunzio Ruggieri. I suoi beni, per un valore di 7 milioni di euro, sono stati confiscati in via definitiva in seguito alla sentenza di Cassazione. Ad avere scovato questo immenso patrimonio era stata la Dia, la direzione investigativa antimafia, che nel 2017 aveva avviato nei suoi confronti delle fitte indagini di tipo ergonomico finanziario. L’imprenditore, originario di Naso, piccolo comune della provincia di messinese, è considerato un uomo in odor di mafia.
I suoi beni
Parliamo di un patrimonio immenso fatto non soltanto di immobili o di beni finanziari. Molto fiorente la sua attività imprenditoriale nell’ambito della vendita di carni per la macellazione e pellame, di cui deteneva il 50 per cento delle quote societarie con un giro d’affari stimato in 5 milioni di euro l’anno. Nel mirino è finito anche un fondo consortile che era nello stesso ramo d’affari.
I suoi contatti con le cosche
La confisca è frutto di alcune indagini che avevano riguardato da vicino l’imprenditore. Ad essere venuto fuori che Ruggieri avrebbe avuto dei contatti con noti esponenti della cosca di Tortorici. Per lui anche una condanna nel 2005 in via definitiva per usura: aveva prestato soldi con tassi elevatissimi ad un funzionario di banca che stava tentando di risollevare i buchi finanziari del proprio istituto di credito.
La caratura criminale
La caratura criminale di Ruggieri nel campo dell’usura si desume non solo dalla sentenza definitiva di condanna emessa nel 2009 per vicende risalenti agli anni tra il 1998 e il 2000, ma anche da dichiarazioni del collaboratore di giustizia Santo Lenzo, legato alle cosche mafiose dei Nebrodi. Da lui è stato indicato come vicino ai vertici della criminalità organizzata tortoriciana. Dalle deposizioni di Lenzo era emerso che Ruggieri nel 1999 “aveva chiesto che fossero incendiati i mattatoi di Sinagra, Barcellona Pozzo di Gotto e Giammoro, impegnandosi a versare 50 milioni di lire all’organizzazione mafiosa”, circostanza che lo avrebbe verosimilmente favorito perché erano attività economiche concorrenti. L’incendio non avvenne “per l’opposizione dei rappresentanti della criminalità organizzata barcellonese”.
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