Due avvocati fanno ricorso alla corte di giustizia europea per la recente sentenza di cassazione del processo “Gotha 6” alla mafia Barcellonese. I legali parlano di “plateale violazione delle regole che governano il processo penale”. Nel marzo 2022 condannati all’ergastolo Antonino Calderone (’75), Giovanni Rao, Salvatore Di Salvo, Carmelo Giambò, Pietro Nicola Mazzagatti, Angelo Caliri e Giuseppe Gullotti. Il ricorso presentato in particolare alla corte Europea dei diritti dell’uomo dagli avvocati Giuseppe Lo Presti e Francesco Torre.
Un processo complesso
Dopo oltre due anni di udienze e centinaia di testimonianze trascritte in oltre 6 mila pagine di verbali, nel 2019 avveniva la sostituzione del presidente del collegio della Corte di Assise di Messina. In origine il codice di procedura penale prevedeva che solamente il giudice che aveva assistito al processo personalmente, ed aveva quindi ascoltato e veduto direttamente i testimoni, poteva emettere sentenza. Ciò significava che un’eventuale sostituzione comportava di riascoltare tutti i testimoni. Ma nel frattempo arriva l’introduzione dell’articolo 190 bis del codice penale. In questo modo processo salvato nell’ottica di una continuità, evitando prolungamenti eccessivi delle varie udienze.
“Inutile” maxiprocesso
Secondo gli avvocati l’errore sarebbe stato quello di istruire un maxiprocesso anziché pensare a più tronconi. Proprio per i rischi dei tempi che si allungavano. Ciò sarebbe potuto avvenire, secondo i legali, aumentando l’organico della magistratura. “Ed invece – affermano – è stato eliminato il sacrosanto diritto di essere giudicati da chi ha assistito personalmente e direttamente alla formazione della prova”. Addirittura, poi, con il processo Ghota 6, sempre secondo i due avvocati si sarebbe violata anche l’attuale disciplina. Quella che consente alla difesa, in caso di sostituzione del giudice, di chiedere un idoneo termine di sospensione del processo. Questo per verificare specifiche esigenze di risentire i testimoni, allegando fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni.
Nessun nuovo esame
Il collegio della cassazione, nell’emettere ordinanza, rilevava che nessuna delle parti aveva proceduto alla consentita verifica. Riteneva di non procedere ad alcun nuovo esame, rinnovando solo formalmente l’istruttoria. Ossia disponendo una “finzione giuridica” attraverso la quale si presumono risentiti in una udienza tutti i testimoni ascoltati in due anni di processo. “Il nuovo giudice – precisano Giuseppe Lo Presti e Francesco Torre – partecipava, quindi, alla decisione di un processo senza avere personalmente udito e veduto tutti i testimoni d’accusa e la gran parte di quelli della difesa”.
Fiducia nella corte di Strasburgo
Secondo i legali “è fondamentale che vi sia la diretta percezione, da parte del giudice deliberante, della prova stessa nel momento della sua formazione”. In modo da cogliere tutte le sfumature che possono rivelarsi utili nel giudizio di attendibilità del risultato probatorio. Da qui la decisione del ricorso alla giustizia europea. “Siamo certi che la Corte di Strasburgo sarà avulsa da logiche di mera ‘economia processuale’ e sensibile alle questioni sollevate – aggiungono i legali -. Riteniamo verrà colta la gravità delle violazioni commesse nella celebrazione del procedimento, determinando, per conseguenza, la revisione del processo”.
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