I finanzieri del comando provinciale di Messina hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misura cautelare a tre imprenditori, con contestuale interdizione dall’esercizio dell’attività di impresa e professionale, in qualsiasi forma, per la durata di un anno, e sottoposto a sequestro somme e beni per un valore di 135 mila euro. Il provvedimento cautelare, basato su imputazioni provvisorie e che dovranno comunque trovare conferma in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, è stato emesso dal Gip del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, su richiesta della Procura, in relazione ad un grave e convergente quadro accusatorio, relativo all’individuazione di un articolato sistema di frode che ha indebitamente fruttato agli indagati la percezione di ingenti fondi pubblici.
Focus sul fiorente settore turistico
Come noto, il settore turistico rappresenta un importante volano dell’economia locale: basti dire come, prima del periodo pandemico, la provincia di Messina risultasse la principale destinazione turistica della Sicilia, conquistando il primo posto come meta preferita per le vacanze sull’isola. Proprio per tali motivazioni, le fiamme gialle pattesi hanno focalizzato l’attenzione investigativa sul rinomato complesso turistico di Portorosa, sito nel punto più rientrante della baia tra il suggestivo golfo di Milazzo e di Tindari.
Un’impresa fantasma?
Nel dettaglio le investigazioni di polizia economico-finanziaria, delegate dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto guidata da Emanuele Crescenti e del sostituto Veronica De Toni, sono andate a focalizzarsi su una serie di anomalie relative ad una società, con sede a Portorosa, attiva nel settore turistico-marittimo, che aveva richiesto ed ottenuto un finanziamento agevolato di quasi 135 mila euro. In questo ambito, i mirati preliminari riscontri eseguiti consentivano di rilevare come questa società risultasse priva di qualsiasi struttura logistica e predisposta al solo fine di accedere alle linee di credito destinate a sostenere lo sviluppo di piccole attività imprenditoriali ad opera di disoccupati o persone in cerca della prima occupazione: agevolazioni finanziarie consistenti in contributi a fondo perduto e mutui a tasso agevolato, gestiti dalla società pubblica “Invitalia SpA” la quale, su mandato governativo, gestisce fondi del ministero del Lavoro con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo e la competitività del paese aiutando le imprese.
Il business del noleggio imbarcazioni
Di qui, quindi, l’avvio di approfondimenti, disposti dall’autorità giudiziaria, nei confronti dei tre imprenditori, I.A. di 38 anni, M.G. di 55 anni e G.M. di 43 anni, tutti destinatari della misura interdittiva e nei confronti della società a loro riconducibile. Ad essere contestato il fatto che attraverso l’impresa avessero presentato un progetto d’investimento finalizzato al “noleggio imbarcazioni con skipper o senza skipper, gite turistiche ed escursioni giornaliere con skipper”, da sottoporre al vaglio dei funzionari di “Invitalia SpA”, deputati all’istruttoria della pratica di finanziamento. Proprio in questa fase emergeva come, per dimostrare l’effettività dell’investimento programmato, i tre imprenditori non hanno esitato a falsificare l’autorizzazione di agibilità di un immobile, attraverso una lettera in cui veniva addirittura riprodotto illecitamente il logo del Comune di Furnari, nel messinese, giungendo persino a produrre un contratto di locazione commerciale riportante, anche in questo caso falsamente, il timbro di registrazione dell’Agenzia delle Entrate di Barcellona Pozzo di Gotto.
Altre presunte irregolarità
Ad aggravare il quadro investigativo delineato emergevano ulteriori presunte illegittime circostanze; in particolare, si acquisiva come le provviste finanziarie illecitamente acquisite venissero utilizzate, tra l’altro, per l’acquisto di 5 imbarcazioni di diverse dimensioni, concesse in locazione ad un’altra impresa, in violazione degli obblighi che scaturiscono dai termini contrattuali con Invitalia Spa, ovvero svolgendo, in tal modo, un’attività commerciale diversa da quella ammessa dall’agevolazione e contraria agli obblighi contrattuali imposti per la concessione della sovvenzione.
Le conclusioni del Gip
In ultima analisi, gli elementi via via acquisiti consentivano al Gip di potersi esprimere in termini di esistenza di una struttura “ben organizzata e programmata con elementi propri di una certa professionalità” e, rispetto alla società investigata, di poterla ritenere “un mero strumento nelle mani degli indagati per ottenere il finanziamento a fondo perduto”, così disponendo le odierne misure interdittive nei confronti dei soggetti di riferimento della società, nonché il sequestro per equivalente del contributo a fondo perduto illecitamente ottenuto.
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