Sport e letteratura, binomio felice. Tanti letterati, non di rado sotto le mentite spoglie di cronisti, hanno raccontato lo sport e i suoi protagonisti appassionando i lettori: da Buzzati, cantore del Giro d’Italia e del duello Coppi –Bartali (nella sua prosa semplice e raffinata, il primo Achille, il secondo Ettore), a Brera, innovativo e sperimentale nella scrittura quanto conservatore nei convincimenti calcistici, da Arpino, scrittore anche ispirato dalle competizioni agonistiche frettolosamente dimenticato, ad Acitelli, autore di due sillogi di poesie dedicate ai campioni (e non solo) del calcio.
Il messinese Enzo Di Salvo, con il suo “I sillogismi del Signor H.H. Storie di uomini, storie di sport” edito da i-mage, conferma quanto letteratura e sport sappiano incontrarsi con esiti esteticamente appaganti.
Il suo libro è una rassegna di figure dello sport di primo piano sotto il profilo umano, quasi tutte espressione di una civiltà e tradizione contadina dalla quale hanno tratto la vocazione al sacrificio e al sudore.
Allenatori di calcio, calciatori, ciclisti, podisti, atleti dello sci di fondo, tanti di loro oggi relegati nel dimenticatoio, conquistano la ribalta de “I sillogismi del Signor H.H. Storie di uomini, storie di sport”. A cominciare da Helenio Herrera, a cui è dedicato il titolo e che apre il libro, ritratto nella sua “folle” caparbietà di uomo vincente. Già, uomo vincente Helenio Herrera, tanto da far conquistare all’Inter degli anni ’60 trofei prestigiosissimi ( due Coppe dei Campioni e la Coppa Intercontinentale, tra gli altri) dopo una lunga astinenza.
Come uomo vincente, da record tuttora imbattuti, è il campione delle due ruote a motore Giacomo Agostini, della cui parabola esistenziale Di Salvo sottolinea un aneddoto, tanto curioso quanto determinante per la sua sorte: il responso di un notaio debole d’udito, alla cui saggezza si erano rivolti i genitori timorosi dei rischi del motociclismo (fu positivo e spianò la strada alla carriera sportiva di Agostini per un equivoco: per l’amico di famiglia il ciclismo, così aveva inteso, non comportava particolari pericoli).
Ma nello sport si vince e si perde, e Di Salvo mostra più simpatia per i perdenti. Così Raymond Poulidor, piccolo, goffo e per nulla aggraziato nella sua bici da corsa, quanto bello ed elegante era Anquetil (si favoleggiava che avrebbe potuto correre con un calice di champagne sulla schiena senza lasciarlo cadere tanto era perfetta la sua posizione aerodinamica in bicicletta). Eppure i francesi fecero di Poulidor il loro idolo: Poulidor l’eterno sconfitto, l’eterno secondo.
Come pure Malabrocca, noto negli anni ’40 e ’50 come la maglia nera del Giro d’Italia: la maglia che veniva assegnata, e per la quale si lottava con lo stesso accanimento con cui si gareggiava per la maglia rosa (il conquistarla dava diritto a un buon gruzzoletto di denari), all’ultimo della classifica generale. E ancora il fornaio podista Dorando Pietri, che scrive il suo nome nella storia della maratona non per averla vinta ma per l’immane sofferenza (una lotta per la sopravvivenza e per il traguardo, i suoi ultimi duecento metri) con cui porta a termine il tragitto di Londra nel luglio del 1908.
E sono tanti gli uomini di sport – diversi comprimari – di cui Di Salvo mette in luce in primo luogo la lealtà, talvolta toccante. Uno su tutti il maratoneta Carlo Airoldi che, a mille metri dall’arrivo dell’ultima tappa della Milano-Barcellona del 1895, accortosi che il suo rivale e compagno di fuga era in preda a una grave crisi, lo caricò sulle spalle sino al traguardo.
La parte finale del bel libro di Di Salvo è coi botti. Sì, coi botti, perché assomiglia alle scintille che si inseguono e illuminano il cielo scuro della notte nell’artificio dei giochi di fuoco, quella che in Sicilia è detta “masculiata”.
Di Salvo, in sequenza pirotecnica, tratteggia con rapidi colpi di penna il ricordo di tanti campioni che ci hanno lasciati, accomunati dalla loro fragilità e solitudine dinanzi al destino: da Facchetti a Scirea, da Pantani a Gimondi, da Annarita Sidoti a Schumacher.
Pagine palpitanti, ricche di pathos, di vivida umanità – talora dolenti, talora esaltanti -, quelle di Enzo Di Salvo, che rinverdiranno la memoria dei più anziani e che faranno scoprire ai giovani storie e uomini che incarnano lo spirito e i valori dello sport.
Scritte con uno stile sobrio e ricercato, tipico della migliore tradizione giornalistica: quella dell’elzeviro – richiamato nella prefazione di Massimo Fabbricini -, del racconto ravvivato dal gusto, tutto letterario, della parola sapiente ed evocativa, capace di cogliere ogni dettaglio descrittivo e di suscitare emozioni.
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