La Guardia di Finanza sta eseguendo a Messina un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari nei confronti della figlia 26enne del boss Salvatore Sparacio, Stefania.
Salvatore Sparacio è nipote del pentito Luigi Sparacio.
Eseguito anche sequestro di due bar nel centro della città e di beni immobili e mobili per un valore di oltre un milione di euro. La donna è accusata di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita: avrebbe assunto fittiziamente la titolarità delle due attività commerciali, note per essere meta della movida.
La misura cautelare arriva dopo il riconoscimento, da parte del Tribunale del Riesame dell’esistenza e dell’autonomia del clan mafioso che fa capo a Salvatore Sparacio, inizialmente ritenuto subordinato al clan Lo Duca La ricostruzione delle ricchezze acquisite nell’ultimo ventennio dal boss Salvatore Sparacio e dai componenti del suo nucleo familiare hanno dimostrato una evidente sproporzione tra gli incrementi patrimoniali e il reddito legittimamente prodotto.
Sotto sequestro sono finiti anche il 25% di una s.r.l.s., con sede a Messina che opera nel settore della consulenza pubblicitaria, 2 fabbricati, un’auto e denaro contante per 15mila euro.
Le odierne misure, invece, sempre disposte dal competente G.I.P. del Tribunale di Messina, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia peloritana, vedono indagata e destinataria degli arresti domiciliari la figlia Stefania per intestazione fittizia di realtà societarie, beni immobili ed autovetture, in realtà riferibili occultamente al padre.
Più in particolare, secondo ipotesi d’accusa, comunque basate su imputazioni provvisorie e che dovranno trovare conferma in dibattimento e nei successivi gradi di giudizio, proprio al fine di eludere le disposizioni in materia di misure patrimoniali previste dal Codice Antimafia, ovvero di agevolare la commissione di altri delitti, quali ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, la donna avrebbe assunto fittiziamente la titolarità di tali attività commerciali, nel centralissimo Corso Cavour di Messina e note per essere meta preferita della movida giovanile.
Nel corso delle indagini tecniche nel tempo effettuate è emerso, infatti, come il padre prendesse decisioni autonome, senza minimamente interpellare la figlia, solo formale titolare, come nel caso in cui rimproverava telefonicamente un uomo addirittura per aver fatto rispondere al telefono il banconista, disponendo anche di licenziarlo: “Ma quello che ca…risponde a telefono, lui si deve stare dietro al banco… va e rimproveralo.… non deve rispondere lui al telefono…cos’è questo bordellino….lunedì se ne deve andare…troppo babbo è”.
Ancora emergeva come al boss fosse rimessa anche la gestione economica degli esercizi di ristorazione oggi sottoposti a sequestro: “… gli dobbiamo dare una stretta alle spese…… sono due giorni che faccio spese in continuazione e non va…”.
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