Lavoravano nei due ospedali maggiori della città di Messina, il Papardo e il Piemonte, aziende poi fuse per disposizione regionale. Uno dei due era addirittura il primario di anestesia e rianimazione. Di fatto garantivano l’assistenza alle donne gravide di quasi tutta la provincia. per questo avrebbero avuto vita facile nel dirottare le pazienti che non volevano tenere il figlio, verso uno studio privato che eseguiva interruzioni di gravidanza a pagamento e senza la sicurezza di un ospedale.
Con questa accusa la Procura di Messina ha disposto il fermo di due medici, un ginecologo e un anestesista. Si tratta di Giuseppe Luppino, primario del reparto di Anestesia e rianimazione dell’ospedale Papardo-Piemonte, e del dirigente medico Giovanni Cocivera, della divisione di Ostetricia e ginecologia, sempre del Papardo.
Sono considerati responsabili di avere convinto, con l’inganno, donne in stato di gravidanza ad abortire nello studio privato di uno dei due. Struttura che, secondo gli investigatori, sarebbe stata priva dei prescritti requisiti igienico-sanitari ed ostetrico-ginecologici.
I due medici sono stati raggiunti dal provvedimento di fermo emesso dal sostituto procuratore Marco Accolla e dall’aggiunto Giovannella Scaminaci. Sono accusati di avere convinto, con l’inganno, donne in stato di gravidanza ad abortire, in violazione della normativa vigente, in cambio di denaro.
Le pazienti erano ‘dirottate’ dalle strutture pubbliche alle quali le donne si rivolgevano verso la struttura privata con una serie di motivazioni. Per la Procura di Messina ginecologo e anestesista ingannavano le vittime sostenendo falsamente che un intervento in ospedale non fosse possibile, per mancanza di posti disponibili, per lunghissime liste di attesa, per questioni di obiezioni di coscienza da parte di numerosi medici. di fatto, in questo modo, sempre secondo l’accusa, costringevano le malcapitate ad affrontare l’intervento in studio privato e a pagamento, opzione presentata come l’unica strada percorribile pena la scadenza dei termini entro i quali la legge italiana garantisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza non a scopi terapeutici.
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