Il clan mafioso messinese sgominato oggi da carabinieri, finanza e polizia organizzava i summit mafiosi in una sala biliardi , la Asd Biliardi Sud”, controllata da Salvatore Sparacio, nipote dello storico boss Luigi, poi divenuto collaboratore di giustizia.
La sala è stata sequestrata. La Asd è finita agli onori della cronaca lo scorso 11 aprile 2020, in occasione dei funerali di Rosario Sparacio, fratello dell’ex boss pentito e padre di Salvatore, perché il corteo funebre si fermò davanti al locale in violazione delle norme anti Covid19. Nel locale si giocava d’azzardo attraverso pc collegati tramite la rete internet con piattaforme di scommesse on-line con sedi all’estero, che permettevano di accedere a giochi offerti al di fuori del circuito autorizzato dai Monopoli dello Stato. Sparacio aveva rapporti con dirigenti maltesi di notissimi brand di settore, tanto da spuntare provvigioni del 40% sugli incassi delle scommesse.
Il boss Salvatore Sparacio, oggi arrestato nell’ambito di una inchiesta della dda di Messina, alle elezioni comunali del 10 giugno 2018 avrebbe ricevuto 10mila euro da un politico locale, Natalino Summa, sottoposto agli arresti domiciliari per voto di scambio. Il capomafia, in cambio dei soldi, avrebbe dovuto procurare voti a Summa che aspirava a diventare consigliere comunale. Il padre del politico avrebbe preso parte agli incontri col boss. L’accordo illecito raggiunto avrebbe portato a Summa 350 voti che però non sono stati sufficienti a farlo eleggere. Oggi, nella sua abitazione, durante una perquisizione sono stati trovati 30mila euro in contanti e altri 10mila sono stati trovati in ufficio. In casa di Sparacio, invece, sono stati trovati 15mila euro.
Un grosso traffico di droga distribuita nelle piazze di spaccio dei quartieri di “Provinciale”, “Fondo Fucile” e “Mangialupi” è stato scoperto dalla Dda di Messina nell’ambito dell’inchiesta che oggi ha portato a 33 misure cautelari. Cosa nostra, dunque, ormai sempre più spesso sceglie di fare affari col vecchio business del narcotraffico. La droga veniva acquistata in provincia di Reggio Calabria e nella gestione del business il boss Giovanni Lo Duca operava insieme a Giovanni De Luca, esponente mafioso della zona di “Maregrosso”. Francesco Puleo e Ernesto Paone invece erano incaricati di procurare lo stupefacente e organizzare i trasporti con la collaborazione di Giuseppe Marra e Mahamed Naji, mentre Emanuele Laganà era il referente della sponda calabrese per il rifornimento della droga. Nel clan c’erano poi diversi uomini d’onore incaricati delle attività di spaccio al dettaglio.