Tra i tanti dolci, di cui il principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci parla nelle pagine del Gattopardo, il celebre romanzo, ambientato tra il 1860 e i primi del ‘900, intrise dei suoi ricordi dei meravigliosi luoghi d’infanzia e giovinezza, a colpirci è il cosiddetto “Trionfo di Gola”.
“Al disotto dei candelabri, al disotto delle alzate a cinque ripiani […] si stendeva la monotona opulenza delle tables à thé dei grandi balli: […] immani babà sauri come il manto dei cavalli, “Monte Bianchi” nevosi di panna, “Beignets Dauphine” […], collinette di Profitteroles alla cioccolata […], “Parfaits sciampagna” […] e “Trionfi della Gola” col verde opaco dei loro pistacchi macinati, impudiche “Paste delle Vergini”.[…]”queste le parole con cui Tomasi di Lampedusa descrive la varietà di dolci che facevano bella mostra di sé sulla sontuosa tavola allestita per il noto banchetto.
Meravigliosamente avvolto in una pasta morbida di mandorle e confettura di albicocche, il “Trionfo di Gola” è un golosissimo dolce il cui nome parla da sè: un vero trionfo, oltre che per la gola anche per la vista. Se poi si cedeva alla tentazione di affondare gli esili rebbi di lucenti forchette d’argento attraverso la dolce calotta di colore verde pistacchio, al palato si apriva un sorprendente tripudio di sapori e consistenze diversi ed in perfetta armonia:
la morbidezza del Pan di spagna, la dolcezza del Biancomangiare profumato alla cannella, la soffice consistenza della crema di ricotta interrotta dai canditi e dalle scaglie di cioccolato, la croccantezza dei pistacchi tritati e la fragranza della pasta frolla. Un vero trionfo di gusti.
Il “trionfo di gola” rappresenta uno dei dolci della tradizione conventuale palermitana più barocco e di fattura più complessa. Dalle pagine del “Gattopardo”, intrise dei ricordi dei meravigliosi luoghi d’infanzia e giovinezza, è giunto fino ai nostri giorni il racconto degli sfarzi dell’aristocrazia di quel periodo, incluso la meticolosa descrizione dei cibi dell’epoca, rievocati con un piacere struggente ed intenso che suggerisce il rammarico che nasce dalla consapevolezza della loro caducità.
Tutto ciò che ruota intorno al cibo acquista nel romanzo una connotazione di sacralità, che è data dal ripetersi incessante di rituali che il tempo non muta, a differenza di quanto avvenga con le circostanze, le situazioni e, soprattutto, le persone. Il celebre banchetto, servito in occasione del “Gran Ballo”, assume, così, un ruolo centrale e determinante nel romanzo poiché l’opulenza dei cibi e gli sfarzi della loro presentazione, amplificano, con la forza delle immagini evocate, la contrapposizione tra lo sfarzo ostentato e la caducità della vita.