Caro Fiorello, ti amiamo ma ti dobbiamo tirare le orecchie. Perché sarà anche vero che a Palermo il 13 dicembre friggiamo di tutto. Ma Catania manco babbia. E te lo dimostriamo. Con le tue amatissime crispelle. Che sono la risposta made in Catania all’eterna disfida con Palermo a base di street food.
A proposito di disfida, chissà cosa diranno i tuoi conterranei nel vederti addentare una palermitanissima arancina “accarne”? Lo scatto immortala Fiorello a Lercara Friddi lo scorso 22 agosto, nell’addentare una succulenta arancina.
Ma siccome il mondo è bello perchè è vario, mettiamo da parte le polemiche. D’altronde sulle arancine ha messo becco – con risultati entusiasmanti – anche sua maestà Antonino Cannavacciuolo. Così mettiamo da parte quelle palle di riso e godiamoci una sublime invenzione della rosticceria catanese. La dedichiamo a Fiorello. Parliamo di crispelle catanesi. Spuntano a fine autunno e accompagnano le feste natalizie. In fondo sono delle sfinci di pasta lievitata e fritta che vengono farcite con ricotta fresca o acciughe. Esiste anche la versione dolce: ma è tutta un’altra storia. Sono di riso con colatura di miele e zucchero a velo.
Nello slang catanese questi piccoli involucri morbidi e croccanti si chiamano crispeddi. Frittelle lievitate e fritte vanno riempite di ricotta ed acciuga. Esiste anche una versione dolce, quella delle crispelle di riso al miele. Ma è tutta un’altra storia. Le crispeddi catanesi vengono chiamate anche sfinci o sfingi, un chiaro richiamo alla loro origine. Il termine sfingi, infatti, deriva dall’arabo sfang, che indica la pasta fermentata e fritta.
Come Fiorello sa bene, la tradizione vuole che le crispelle alla ricotta siano di forma tonda, mentre quelle all’acciuga devono essere allungate. Il nome crispeddi deriverebbe dal fatto che la pasta lievitata, a contatto con l’olio bollente, s’increspa immediatamente. Anche queste frittelle salate ci vengono regalate dalle cucine delle chiese e dei monasteri. Erano i monaci a prepararle e regalarle alla popolazione in occasione delle festività maggiori. Realizzare le crispedde catanesi è una vera e propria forma d’arte. Protagonista indiscusso è il “crispiddaru“: quando realizza quelle meraviglie croccanti si rimane incantati per l’eccezionale abilità nella manipolazione della pastella.
Le regole per preparare le crispelle sono ferree ed ogni piccolo errore ne compromette il risultato. Prima di passare alla fase dell’impasto vero e proprio prelevate un bicchiere di acqua dal totale e scioglietevi il lievito. L’acqua deve essere tiepida. Versate la farina in una ciotola molto capiente, aggiungete il sale e mescolate bene.
Con l’ausilio di una forchetta iniziate versando l’acqua con il lievito e, poca per volta, incorporate la restante parte. Impastate per circa 20 minuti fino a quando avrete ottenuto un impasto molto morbido e soffice, quasi liquido. Lasciate la pasta a lievitare coperta da un panno caldo e lontano da correnti d’aria per almeno 3 ore. Alla fine del processo di lievitazione la pasta dovrà avere raddoppiato il volume. Appena pronto lavoratelo nuovamente un paio di minuti facendolo sgonfiare. Nel frattempo mettete sul fuoco un pentolino pieno d’olio, e iniziate la preparazione delle crispedde. In questa fase è importante avere a disposizione una recipiente contenente acqua con cui inumidirsi le mani per evitare che l’impasto si appiccichi. Prendete una piccola porzione di pasta e stendetela sul palmo della mano inumidita, adagiatevi sopra un cucchiaio di ricotta o un filetto di acciuga.
Chiudete bene il fagottino avendo cura di non lasciare fessure per evitare la fuoriuscita dei liquidi o che possano aprirsi durante la cottura. Non appena tuffate nell’olio ben caldo le crispelle si gonfieranno e si incresperanno (da qui il nome). Friggetele man mano che le andrete preparando fino a doratura, rigirandole da entrambi i lati quindi scolatele con una schiumarola su carta assorbente. Ripetete l’operazione fino ad esaurimento degli ingredienti. Servite ben calde. E sottoponetele al test di Fiorello.