Chiacchiere, bugie, cartellate, cenci, frappe, lasagne, sfrappole, sfrappe, crostoli, gali, galani, rosoni, sosole, pampugli, in qualsiasi modo le chiamiate, è certo senza questi croccanti dolci spolverati di zucchero a velo non può essere Carnevale.
In realtà, le chiacchiere, così chiamate perchè, proprio come i pettegolezzi, sono facili da fare con poco e, soprattutto, sono così buone che “una tira l’altra”,hanno un’antichissima tradizione che risale a quella delle frictilia, dolci fritti nel grasso di maiale che, nell’antica Roma, venivano preparati proprio durante il periodo carnascialesco.
Questi dolci, dalla forma tonda e schiacciata, venivano prodotti in grande quantità ed erano venduti da donne con il capo cinto di edera durante i Saturnalia, ciclo di festività in onore del dio Saturno, per essere, poi, distribuite alla folla.
La frittura nel grasso era utilizzata per sottolineare l’importanza dell’opulenza e delle riserve alimentari da accumulare in questo periodo in cui si affronta il passaggio dall’inverno alla primavera, simbolicamente dalla morte alla vita.
I diversi nomi che sono derivati dalle antiche frictilia non riguardano i diversi ingredienti utilizzati, bensì dalle diverse forme con cui la sfoglia di pasta viene tagliata. I crostoli, ad esempio, hanno una semplice forma rettangolare, resa meno grezza arricciando il bordo con la rotella dentata. I galani vengono, invece, tagliati a forma di nastro di varie lunghezze, chiamato appunto galan. Le frappe, sfrappe o sfrappole, in particolare, hanno un nome onomatopeico ossia in grado di ricordare il rumore che fanno quando si spezzano.
In Sicilia, oltre che mangiarle appena fritte (o nella versione al forno non riconosciuta dai “puristi”) si usa friggere sottili sfoglie di pasta da inserire all’interno di un dolce, chiamato testa di turco, tipico di Castelbuono, in provincia di Palermo, a base di biancomangiare, una voluttuosa crema a base di latte.
Per chi volesse prepararle in casa proponiamo la semplice e gustosa ricetta.