“Na tavola, na segghia e panaru cinu ri mustarda e na chitarra; nun ce autru ca risia n’ uomunu pi siri filici a nuvembri na nostra amata Sicilia…”

Il ricordo di zia Maria…

La cucina della zia Maria era stretta e lunga. Sembrava di starci a malapena lei e la sua adorabile gatta “Milena” la quale portava goliardicamente un nastrino rosso al collo con un piccolo campanellino…tale da darle un pizzico di amabile civetteria”. In quel corridoio ingombro di mobili, lei e la sua amica Iolanda si muovevano tra fornelli, pentole e piatti, come se stessero danzando. Mi facevano venire in mente due ballerine col grembiule a fiori, coordinate alla perfezione, che volteggiavano tra pentoloni fumanti da cui usciva ogni ben di dio. C’era sempre un gran daffare in quel piccolo spazio, eppure era sempre tutto in ordine.

La buona cucina tradizionale siciliana avevo cominciato a conoscerla e ad apprezzarla grazie a loro, ai loro piatti colorati, con porzioni sempre troppo abbondanti ma talmente buone che poi riuscivi in qualche modo a finire… A casa mia di queste tradizioni e piatti tradizionali neanche l’ombra; mia madre già da tempo lavorava all’ospedale e fra il lavoro, la casa e occuparsi delle faccende domestiche non aveva mai trovato tempo per dedicarsi all’arte della cucina.

La cosa più affascinante di loro due (zia Maria e Iolanda) era che descrivevano i loro piatti ai fortunati ospiti: ogni ricetta diventava un racconto: la ricerca degli ingredienti, i tempi, i ruoli e la preparazione. C’erano pietanze che si perdevano nella tradizione e gustarle era un vero privilegio che la zia e Iolanda rendevano affascinanti con storie e luoghi ai più sconosiuti.

Un piatto molto prelibato per me e che la zia e la sua amica inseparabile erano molto brave a preparare era “la Mostarda”, un concentrato di usanze, cultura e territorio nel vero senso della parola.

La storia della mostarda siciliana: tradizione contadina e ingredienti della terra

Non ha niente a che vedere con le mostarde che si mangiano oggi nel nord Italia, salse più o meno dolci o piccanti, con frutta candita o senza, utilizzate generalmente per accompagnare piatti come il bollito.

La parola “mostarda” deriva dal latino “mustum ardens”, alludendo al mosto di vino reso ardente, nel senso di piccante, dall’aggiunta di farina di grani di senape. In questo modo un tempo era possibile conservare un prodotto facilmente deperibile come la frutta. Da qui, in francese è diventata moût ardent (letteralmente: “mosto che arde”) e infine mostarda.

A ricetta ra zia Maria pi fari a mustarda ri vinu cuottu…

Immaginate la mia gioia quando una sera zia Maria mi prese da parte e mi disse “Oggi ti farò la mostarda… E siccome tu sei un bravo osservatore e sai scrivere, un giorno la descriverai con una certa precisione”. Subito dopo vidi la zia alle prese con la preparazione della prima mostarda siciliana in una super cucina adornata di mattonelle in ceramica di colore turchese e mobili in legno laccati bianchi e decorati da fregi azzurri.

Una ricetta che oggi voglio condividere con voi perché per me è più di un dolce, è la storia di una parte di Sicilia in un periodo ben preciso della mia adolescenza durante la vendemmia.

La preparazione della mostarda della zia in 3 passaggi…

L’ingrediente di partenza è il mosto, a cui si mescola un po’ di cenere bianca di legno d’ulivo, di vite o di mandorlo per contrastare l’acidità e mantenerlo dolce.

Il succo così mescolato si lascia riposare per 24 ore, dopodiché va filtrato alcune volte su panni di lino o canovacci di cotone, per garantire il completo allontanamento delle particelle di cenere. A questo punto si può congelarlo e scioglierlo quando si decide di preparare la mostarda.

Le dosi: Per ogni litro di succo d’uva si aggiungono 90-100 grammi di farina. Alcuni usano l’amido. La zia usava la farina 0.

Questa miscela di ingredienti si mette in pentola, quindi su un fornello a fuoco lento mescolando spesso perché raggiunga lentamente il punto d’ebollizione, quando si aggiunge in pentola una manciata di mandorle tostate tritate grossolanamente. Quando il liquido si addensa a sufficienza è pronto per essere versato negli stampi o semplicemente in piattini di ceramica

 La mostarda così ottenuta (mustarda ri vinu cuottu, in dialetto siciliano) può essere consumata in giornata, oppure conservarla più a lungo, così come si fa per la cotognata. Si lascia asciugare al sole e quando raggiunge il giusto grado di densità si conserva all’interno di bocce di vetro.

“Quando siamo un po’ infelici, torniamo nei luoghi che più amiamo o nei ricordi più amabili. Essi, a differenza delle persone, hanno sempre qualcosa da dirci”.

          Salvatore Battaglia

Presidente Accademia delle Prefi


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