“Il presidente della Regione, il catanese Nello Musumeci, esulta perché dopo quasi vent’anni ad opera del suo governo cambia la mappa del rischio sismico e i comuni siciliani in zona 1 passano da 27 a 53. Dietro i numeri, però, c’è di più: ad esempio, c’è che Catania era e resta in zona 2 venendo ancora una volta tagliata fuori dalle misure previste per gli interventi, sempre più urgenti, di consolidamento infrastrutturale e del patrimonio edilizio pubblico e privato”. Lo affermano i segretari generali di Uil e Feneal Catania, Enza Meli e Nino Potenza.
“La lezione del 1693, giusto per citare una delle pagine più dolorose e devastanti – aggiungono è stata ignorata. Eppure, sarebbe bastato cliccare appena su Wikipedia per farsi un’idea di cosa accadde e leggere dei 16mila morti che quel terremoto provocò nel solo capoluogo etneo”.
“Abbiamo rivendicato – sottolineano i sindacalisti – l’inserimento nella zona di massimo rischio perché tutti gli studi scientifici sostengono questa richiesta, mentre gli esperti hanno più volte ricordato come in città l’80 per cento degli edifici sia stato costruito prima del 1981. Cioè, prima che per legge fossero fissati criteri di costruzione a prova di terremoto. Sarebbe, quindi, necessario adeguare gran parte dei fabbricati cittadini in cemento armato, particolarmente quelli che tra gli anni ’60 e ’80 sono stati fra l’altro costruiti a Librino e nel centro storico, o nella zona di corso Italia e in quella di viale Vittorio Veneto”.