E’ uno dei colossi nel settore dell’edilizia, la dodicesima azienda del Paese, certamente la prima del Mezzogiorno, ma per la catanese Tecnis i guai sono cominciati lo scorso ottobre quando sono finiti ai domiciliari i vertici dell’azienda travolti dal ciclone giudiziario degli appalti truccati all’Anas.
Da allora, per i lavoratori e per le opere in fase di realizzazione sia in Sicilia che nel resto del Paese, è iniziata un’odissea scandita da proteste, sit-in e gli immancabili tavoli di concertazione.
In azienda, dopo la decadenza della necessaria documentazione antimafia è arrivato un commissario anticorruzione nominato dal prefetto di Catania per vigilare sul proseguo dei lavori. Non si tratta, quindi, di un amministratore, ma di una sorta di garante.
Sarà un amministratore giudiziario, Saverio Ruperto a sostituire per un periodo di sei mesi, ulteriormente rinnovabile, gli amministratori delle società Tecnis, Artemis e Cogip Holding per risanare e reimmettere nel mercato l’azienda, in modo che possa operare nel rispetto delle regole e al riparo da interventi della criminalità organizzata.
Intanto il cda, la scorsa settimana, ha ritirato il piano di ristrutturazione del debito annunciando la presentazione di uno nuovo che potrebbe essere valutato già nel vertice in programma al Mise venerdì prossimo dove certamente approderà anche la nuova vicenda giudiziaria divampata stamani a Catania.
Tecnis è finita sotto sequestro con la conseguente amministrazione giudiziaria disposta dal Tribunale etneo. I sindacati, che da mesi seguono l’evolversi della vicenda, hanno sempre chiesto chiarezza e ora più che mai ribadiscono la necessità di operare in fretta per salvare i posti di lavoro e quindi il proseguo di cantieri importanti come il completamento dell’anello ferroviario di Palermo, della Metropolitana di Catania e di altri grandi infrastrutture.
Nella sola Sicilia, l’indotto di aziende fornitrici della Tecnis è costituto da circa 900 piccole e medie imprese, anch’esse con operai e impiegati, “il danno sociale sarebbe incalcolabile”, hanno più volte ribadito le parti sociali che già nei giorni scorsi avevano chiesto al Mise ‘uscire allo scoperto e dire che si vuol fare del gruppo’.
Un appello che oggi risuona con maggiore intensità.