La terza Corte d’assise di Catania, presieduta da Sebastiano Migmeni, ha condannato all’ergastolo Rosario Palermo, 63 anni, per l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Agata Scuto, la 22enne figlia della sua allora compagna, scomparsa il 4 giugno del 2012 da Acireale.

Secondo l’accusa il delitto sarebbe stato commesso per evitare che si scoprisse che la giovane, con la quale avrebbe avuto una relazione segreta, era rimasta incinta. La Corte ha disposto anche l’isolamento diurno per un anno e il risarcimento alle parti civili da quantificare in separata sede. La sentenza accoglie integralmente le richieste del Pm Francesco Puleio.

Scomparve da casa a 22 anni

Scomparve da casa dieci anni fa e la sparizione della giovane di 22 anni fu un vero e proprio giallo intorno al quale si costruirono ipotesi e ricerche rimaste senza risposte e senza frutto.

A distanza di quasi dieci anni un 60enne è stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Acireale per l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Agata Scuto, proprio la 22enne scomparsa di casa il 4 giugno del 2012, il cui corpo non è stato mai trovato. Si tratta di Rosario Palermo

Nei confronti dell’uomo è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Catania su richiesta della Procura distrettuale etnea. Sul ‘cold case’ hanno fatto luce, dopo dieci anni, indagini di militari dell’Arma avviate dopo la denuncia di familiari della giovane vittima, definita una donna fragile.

Il corpo non fu mai trovato

Il corpo della giovane non fu mai trovato ma secondo la Procura di Catania, le indagini dei carabinieri hanno “consentito di raccogliere gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’uomo in ragione sia del rapporto particolare che egli aveva instaurato nell’ultimo periodo con la ragazza – la quale non usciva mai di casa da sola, né intratteneva rapporti con altre persone – sia delle falsità delle notizie fornite agli inquirenti dallo stesso circa i suoi spostamenti il giorno della scomparsa di Agata”.

L’uomo tentava di inquinare le prove e depistare

In particolare, è la tesi dell’accusa, l’indagato “avrebbe cercato di inquinare le prove anche ottenendo da conoscenti la conferma del suo falso alibi”.