Beni per cento milioni di euro sono stati sequestrati dalla Direzione investigativa antimafia di Catania a imprenditori ritenuti riconducibili al clan Santapaola-Ercolano. Il decreto è stato emesso dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale su proposta congiunta della Procura di Catania e del direttore della Dia.
Uno di loro al carcere duro
Uno dei tre soggetti finiti nel mirino è ritenuto uno storico esponente del clan Santapaola-Ercolano e risulta attualmente detenuto in regime di carcere duro a seguito della recente condanna all’ergastolo per l’omicidio di Luigi Ilardo, ucciso a Catania nel 1996, poco prima di entrare nel programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia. Già in passato, nei suoi confronti, la Dia aveva condotto articolati accertamenti patrimoniali, sfociati nel dicembre del 2012 nel provvedimento di confisca dei beni per un valore complessivo di euro 30 milioni di euro e nell’aggravamento della misura di prevenzione personale.
Padre e figlio coinvolti
L’indagine ha preso in esame la posizione economica, finanziaria e patrimoniale di altri due individui, padre e figlio, noti imprenditori originari del messinese, già sotto indagine in passato sulla scorta delle quali sono stati arrestati con l’operazione “Piramidi”. I due sono a capo di uno dei gruppi imprenditoriali più importanti della Sicilia orientale, operanti in svariati settori, ma principalmente nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti. Negli anni i due sono riusciti a creare una vera e propria galassia di imprese, diversificando le attività della famiglia con società attive nei servizi di pulizia degli ospedali, nel settore immobiliare e nella gestione di un notissimo stabilimento balneare, sito sul litorale catanese. La vicinanza tra i tre individui, conclamata in atti giudiziari, emerge con certezza anche per la presenza degli stessi in occasione del battesimo della figlia del boss ed in occasione di un matrimonio di un congiunto.
Da carpentiere a grande imprenditore
È proprio tale vicinanza ad esser ritenuta l’origine dell’impressionante escalation imprenditoriale di padre e figlio; per far luce su un arricchimento così repentino, gli inquirenti hanno, infatti, passato sotto la lente di ingrandimento ben quaranta anni della loro evoluzione economica ed imprenditoriale. Da umile carpentiere uno dei due è divenuto uno tra i più facoltosi imprenditori siciliani. Le complesse indagini patrimoniali hanno consentito di appurare che l’ascesa imprenditoriale della famiglia ha avuto una formidabile impennata intorno alla fine degli anni ’90 e che gli investimenti compiuti in quegli anni risultano caratterizzati da massicce immissioni di capitali non giustificate dalla capacità economico-finanziaria che a quel tempo gli imprenditori possedevano.
Una conoscenza vecchia di 10 anni
Già nel 2012, l’inchiesta Piramidi della Dda etnea aveva dimostrato il ruolo dell’imprenditore quale braccio economico del boss. Con il provvedimento di oggi il tribunale di Catania ha accolto l’impostazione dell’analisi compiuta dagli investigatori della Dia sulle intercettazioni ambientali e telefoniche nonché sulle dichiarazioni di storici collaboratori di giustizia, tra i quali Santo La Causa, Gaetano D’Aquino e Salvatore Viola. Il quadro probatorio presentato all’Autorità Giudiziaria è frutto di un lavoro minuzioso, che ha fatto emergere, tra l’altro, anche la perfetta correlazione temporale tra la crescita imprenditoriale delle imprese ed il ruolo di vertice assunto di fatto dal boss nel clan Santapaola. In particolare, sono stati sottoposti a sequestro 14 società, 7 immobili e svariati rapporti finanziari.
Tanti arresti, sequestri e confische
In questi anni sono stati tantissimi i colpi inferti dallo Stato ai danni del noto clan, dedito a stupefacenti, estorsioni e malaffare in genere, senza disdegnare di mettere anche mano alle armi quando si ritiene necessario.
L’ultima confisca a giugno
Nel giugno scorso sono state sottratte alla criminalità e restituite all’economia legale e al patrimonio dello Stato ricchezze contaminate, acquisite illecitamente, per un valore di circa 1 milione di euro. Personale della questura di Catania, nell’ambito delle attività mirate al contrasto della criminalità organizzata di tipo mafioso operante nel territorio della provincia, finalizzate in particolare all’aggressione dei beni illecitamente conseguiti dai soggetti ritenuti “socialmente pericolosi”, ha dato esecuzione a tre misure di prevenzione patrimoniali di confisca di beni, già oggetto di sequestro di prevenzione, disposti dal tribunale di Catania-sezione Misure di prevenzione nei confronti di due appartenenti all’associazione mafiosa Santapaola-Ercolano e di un appartenente al clan Santangelo-Taccuni di Adrano, anch’esso affiliato alla famiglia di Cosa Nostra catanese.
L’ultima maxi retata
Nel maggio scorso sono state 40 le persone indagate nell’ambito di una operazione coordinata dalla Dda di Catania ed eseguita da 300 carabinieri. Il Gip ha ordinato il carcere per 30 soggetti e i domiciliari per altri 10 indagati. Tutti sono considerati appartenenti alle famiglie mafiose afferenti al clan “Santapaola-Ercolano”, articolato in gruppi stanziati sul territorio della provincia di Catania. Il provvedimento colpisce in particolare il gruppo di Paternò storicamente diretto dalle famiglie Alleruzzo, Assinnata e Amantea e il gruppo di Belpasso.
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