Venticinque anni di carcere per Salvatore Di Grazia, l’80enne, imputato per avere ucciso nell’agosto del 2011 la moglie, Mariella Cimò di 72 anni, al culmine di una lite per motivi economici e passionali, facendo poi sparire il corpo che non è stato mai trovato.
Lo ha deciso la seconda corte d’Assise di Catania che oggi ha concluso il processo di primo grado. Il Pm Angelo Busacca aveva chiesto l’ergastolo. La corte non ha escluso l’aggravante dei motivi obietti e futili. Concesse risarcimenti provvisionali.
Di Grazia, che si continua a proclamare innocente, era in aula ed è rimasto impassibile durante la lettura della sentenza. La Corte d’assise di Catania ha riconosciuto il risarcimento danni alle parti civili, condannato l’imputato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al pagamento delle spese processuali e della custodia cautelare in carcere.
Lui resta in stato di libertà, con l’obbligo di soggiorno, dalle 21 alle 7 del mattino, nel comune di residenza, Acireale. Con i cronisti ha commentato la sentenza con una battuta: “la piglio come un auspicio di lunga vita…”, ha detto sorridendo.
Per l’accusa non ci sono dubbi: è stato lui. Ha ucciso la moglie, ne ha occultato e poi soppresso il cadavere. E per il Pm durante le indagini della squadra mobile della Questura “non soltanto ha mentito, ma anche depistato”. L’imputato nelle scorse udienze aveva reso spontanee dichiarazioni in aula ribadendo la sua estraneità, “la sincerità viene punita” e “molti fatti confluenti” su di essa “o sono sottaciuti o non considerati”.
Un processo senza ‘corpo del reato’, ma che per la Procura si basa su “45 gravi e univoci indizi di colpevolezza”. L’ultimo riassume il movente: “Di Grazia in definitiva si e’ liberato della moglie (probabilmente in esito ad un fatale ultimo litigio) per continuare liberamente (se non per incrementare) la già disinvolta e talora frenetica frequentazione di donne ad esclusivi scopi sessuali per lo più verso pagamento di somme di denaro”. Punti che il presunto uxoricida ha più volte contestato, definendole “45 barzellette”.
Di Grazia, che ha l’obbligo della dimora nel comune di residenza, dalle 21 all1 7 del mattino, ha sostenuto che la moglie sia allontanata volontariamente da casa. “Era troppo riservata – ha sempre detto – magari essersi vista sulle televisioni nazionali le impedisce di tornare a casa”. Ma lui, non ha perso la speranza: “Perche’ non si può parlare di scomparsa autonoma? E’ stata uccisa? E da chi? Io – è stata la sua tesi difensiva – so che non sono stato io, perche’ siamo esseri umani e non animali, ma che’ scherziamo… Spero torni domani e io possa morire dopodomani”.
Intanto la condanna a 25 anni la valuta “come un’auspicio di vita prolungata…”.