Sequestro e confisca dei beni per 150 milioni di euro perchè a fronte della pericolosità sociale Mario Ciancio Sanfilippo non ha potuto dimostrare la liceità dell’acquisizione die beni oggetto del provvedimento. E’ questa la motivazione con la quale la Procura di Catania ha ottenuto il sequestro e la parziale confisca dei beni del maggiore editore del Sud Italia,
“Il Giudice, il primo ad avere valutato nel merito gli elementi nel corso delle indagini – scrive la Procura di Catania -ha ritenuto la pericolosità sociale qualificata del proposto per la sussistenza a suo carico di gravi indizi del rilevante contributo fornitoal raggiungimento delle finalità perseguite dalla famiglia catanese di cosa nostra dagli anni Settanta dello scorso secolo sino al 2013 e ha disposto la confisca di tutto il patrimonio da questi acquisito nel periodo in cui è stata accertata tale pericolosità sociale (in allegato l’elenco dei beni colpiti dal provvedimento)”.
Tra le società sequestrate e confiscate vi è anche il gruppo editoriale del quotidiano La Sicilia e di alcune emittenti locali. Per dimostrare l’anomalo sviluppo del patrimonio la Procura di Catania si è avvalsa della consulenza patrimoniale dalla nota società PWC (Price Waterhouse Coopers) incrociando i dati con il patrimonio conoscitivo dei collaboratori di giustizia. La Difesa, a sua volta, ha depositato documentazione ed ha interloquito nel corso della redazione della consulenza tecnica della PWC avvalendosi del proprio consulente di parte.
Le accuse mosse sono gravi e pesanti. Vi si parla di rapporti intrattenuti da Ciancio con gli esponenti di vertice della famiglia catanese di Cosa Nostra “sin da quando la stessa era diretta da Giuseppe Calderone, rapporti poi proseguiti ed anzi ulteriormente intensificati con l’avvento al potere di Benedetto Santapaola alla fine degli Anni Settanta del secolo scorso ed al ruolo di canale di comunicazione svolto dallo stesso Ciancio per consentire ai vertici della predetta famiglia mafiosa di venire a contatto con esponenti anche autorevoli delle Istituzioni”
Non è rimasta immune a questi rapporti la testata giornalistica: “la linea editoriale imposta dal Ciancio alla testata giornalistica che vanta il maggior numero di lettori nella Sicilia Orientale, era improntata alla finalità di mantenere nell’ombra i rapporti tra la famiglia mafiosa e le imprese direttamente o per interposta persona controllate dalla medesima; di non porre all’attenzione dell’opinione pubblica gli esponenti mafiosi non ancora pubblicamente coinvolti dalle indagini giudiziarie e soprattutto l’ampia rete di connivenze e collusioni sulle quali questo sodalizio mafioso poteva contare per mantenere la propria influenza nella provincia catanese”
Ma i rapporti sarebbero stati anche economici con “l’impiego di grandi quantità di capitali di provenienza mafiosa investiti nelle iniziative economiche, anche di natura speculativa immobiliare, poste in essere nell’arco di numerosi decenni dal proposto”.
I rapporti tra Ciancio e cosa nostra secondo l’accusa sono emersi nelle seguenti specifiche vicende imprenditoriali in epoca recente:
Parco Commerciale Porte di Catania (realizzato): “in tale vicenda – scrive la Procura – Ciancio è coinvolto poiché socio, unitamente a Giovanni Vizzini (la cui figlia è sposata con Vincenzo Rappa, che appartiene ad una famiglia, alcuni dei cui membri sono stati condannati per fatti di cui all’art. 416 bis c.p.) e Tommaso Mercadante (nipote di Tommaso Cannella e figlio di Giovanni Mercadante, entrambi condannati per fatti di cui all’art. 416 bis c.p.). La realizzazione dell’opera venne affidata all’imprenditore Basilotta, sebbene vi fosse l’intendimento di coinvolgere l’imprenditore Mariano Incarbone condannato con provvedimento definitivo quale partecipe alla famiglia Santapaola (mentre l’imprenditore Vincenzo Basilotta è deceduto durante il processo d’appello a suo carico, che lo vedeva imputato per fatti di cui all’art. 416 bis c.p.). Peraltro, le intercettazioni eseguite nel contesto investigativo Iblis, confermano che l’affare era infiltrato da cosa nostra attraverso Basilotta il quale vi aveva lucrato 600.000 euro, consegnati a Raffaele Lombardo (già Presidente della Regione Siciliana ed imputato per fatti di cui agli artt. 110 – 416 bis c.p.) che si era interessato al progetto cui partecipava Ciancio.
Parco Commerciale Sicily Outlet (realizzato): “in questa vicenda – scrive sempre la Procura – Ciancio emerge sia quale proprietario dei terreni su cui è sorta l’opera sia quale socio nella Dittaino Development. Parte dei lavori, inoltre, sono stati eseguiti da Basilotta e Incarbone”.
Fra le contestazioni anche il progetto Stella polare poi non realizzato. Ma non basta. Nell’indagine convergono anche i lavori di costruzione di un insediamento chiuso ad uso collettivo a favore della base di Sigonella anche questi non realizzati come la costruzione del polo commerciale denominato Mito, una iniziativa che vedeva coinvolti, secondo la Procura, tanto Ciancio quanto altre persone risultate essere in rapporti con cosa nostra palermitana e messinese.
LEGGI QUI L’ELENCO DI TUTTI I BENI CONFISCATI
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