Quando ami appassionatamente un’opera d’arte, ne hai quasi timore reverenziale. Quando ammiri qualcosa che trovi davvero grande lo fai con pudore.
Deve essere stata questa la ragione per cui Francesco de Gregori non ha confezionato prima il suo lavoro “De Gregori canta Dylan. Amore e Furto”, per poi portarlo nei teatri d’Italia (11 Marzo al teatro Metropolitan di Catania, 12 Marzo Teatro Golden di Palermo).
“Ho sempre guardato alle sue canzoni con l’idea che potessero essere tradotte in italiano, in effetti qualcosa avevo già fatto in passato, qualcosa l’avevo anche pubblicata qua e là, però , certo, la mia passione per il mondo musicale di Dylan andava estrinsecata e questo disco è un po’ come l’apertura di una bottiglia, di un vaso di Pandora” racconta ai microfoni di Rsc Radio Studio Centrale, facendo bene intendere quanto questo desiderio si sia fatto strada, nel tempo, nel suo cuore, forse ancor prima che nella sua mente.
E forse a questo punto i tempi erano maturi, o solo è scattata una sorta di urgenza artistica.
Di fatto c’è che il disco è meraviglioso e che , inevitabilmente, l’approccio ad un mostro sacro come Dylan, seppur da parte di una penna raffinata come quella del “Principe”, risulta sempre una responsabilità: “Si, responsabilità è la parola giusta, perché ci approcciamo a dei testi importanti, lirici, colti. Io l’ho fatto con molto amore, questo amore che sta anche nel titolo….amore e furto, perché quando uno ama fortemente qualcosa alla fine si sente anche autorizzato a prendersela, succede…”
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