E’ risaputo che nel rapporto tra banca e cittadino, è certamente quest’ultimo a rappresentare, suo malgrado, l’elemento debole.
Basti pensare al procedimento esecutivo, strumento mediante il quale la banca realizza le proprie pretese creditorie nei confronti di un debitore, rispetto al quale non si trova mai su un piano di parità.
Il procedimento esecutivo tende infatti all’attuazione forzata di un diritto già accertato (o da un giudice o derivante da un titolo come una cambiale, un assegno o un mutuo).
E’ un processo a contraddittorio attenuato, che si svolge per tutelare l’interesse del creditore, che non ha lo scopo di stabilire le ragioni e i torti delle parti, ma è volto ad attuare concretamente – anche contro la volontà del debitore – il diritto riconosciuto al creditore.
Quest’ultimo dispone di tre diversi tipi di esecuzione forzata:
1) mobiliare presso il debitore: l’ufficiale giudiziario si reca presso la residenza o domicilio del debitore per pignorargli i beni mobili (ad es.: un quadro, il televisore, il pianoforte, ma non il letto, il tavolo da pranzo, la fede nuziale, i vestiti).
2) presso terzi: il creditore chiede il pignoramento dei crediti vantati dal proprio debitore verso i debitori di quest’ultimo. Tipico è il caso del pignoramento dello stipendio o dell’attivo sul conto corrente bancario;
3) immobiliare: è la modalità che garantisce il pagamento di crediti più consistenti mediante il pignoramento, ai fini della vendita, della casa o di altro bene immobile del debitore.
Non è infrequente però che la banca creditrice commetta eccessi e abusi nell’uso del procedimento di esecuzione forzata. Cosa può fare pertanto il debitore per salvaguardarsi?
Se la banca ha pignorato beni di valore superiore al credito vantato, è diritto del debitore chiedere la riduzione del pignoramento. Essa può avere l’effetto di liberare dal pignoramento alcuni beni immobili ipotecati, purché rimangano assoggettati al pignoramento altri immobili in misura sufficiente a soddisfare i creditori.
O ancora, può chiedere di continuare ad abitare l’immobile pignorato fin quando le operazioni di vendita non siano concluse. Oppure può difendere il diritto alla prima casa, sancito dalla sentenza n.19270/2014 della Cassazione, che ribadisce che, nei casi in cui l’espropriazione immobiliare riguardi l’unico bene di proprietà, non di lusso, in cui il contribuente ha la residenza, “l’azione esecutiva da parte dell’Ente di riscossione non può più proseguire”.
In conclusione, se si subisce un pignoramento immobiliare, si deve rafforzare la propria posizione nei confronti di un creditore che oggi sembra non voler sentir ragioni, ma che domani, quando i tempi e i costi a cui l’avrete costretto si saranno fatti pressanti, comincerà finalmente a rispettarvi e magari trattare con voi su basi accettabili.