Le mani del clan catanese dei Laudani sui supermercati Lidl e sul servizio di sicurezza del tribunale di Milano. Lo rivela un’inchiesta della Dda del capoluogo lombardo che ha portato all’arresto di 15 persone, due delle quali a Catania, da parte del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Varese e della Squadra mobile della Questura di Milano.
Oltre 60 le perquisizioni tra la Sicilia, Lombardia, Piemonte e Puglia e con il sequestro preventivo di beni immobili, quote sociali, disponibilità finanziarie.
La sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha in parte commissariato il colosso dei supermercati: per sei mesi, la gestione di 4 delle 10 direzioni generali italiane sarà assunta dai giudici.
Disposta anche l’amministrazione giudiziaria della società di sorveglianza privata del Palazzo di Giustizia di Milano, la Securpolice Servizi Fiduciari, il cui gestore di fatto sarebbe Alessandro Fazio, in “costanti rapporti con esponenti della famiglia mafiosa dei Laudani”, scrivono i giudici che spiegano che “da tempo, Fazio corrisponde denaro” a persone vicine al clan “riuscendo a ottenere commesse da parte di importanti società (tra cui Lidl) presenti anche in Sicilia”.
Alessandro Fazio e il fratello vengono considerati dai pm tra i ‘capi’ dell’associazione a delinquere vicina alla mafia. Tra gli arrestati, figurano anche un ex dipendente della Provincia di Milano, accusato di ‘traffico d’influenze”.
Secondo i magistrati si sarebbe messo a disposizione dei referenti del clan Laudani, e una dipendente del Comune di Milano arrestata per corruzione in relazione a un appalto scolastico. Secondo il gip Giulio Fanales, esisteva uno “stabile asservimento di dirigenti Lidl Italia srl, preposti all’assegnazione degli appalti, onde ottenere l’assegnazione delle commesse, a favore delle imprese controllate dagli associati, in spregio alle regole della concorrenza con grave nocumento per il patrimonio delle società appaltante”.
Gli ambiti entro cui sarebbero maturati i contatti con esponenti delle cosche sono, spiega il gip nell’ordinanza emessa, quelli dell’”organizzazione della logistica presso i magazzini ove è custodita la merce di natura non alimentare, l’allestimento di nuovi supermercati, il rifacimento di negozi preesistenti, le manutenzioni periodiche o le riparazioni occorrenti in caso di guasti improvvisi e di altri eventi accidentali”.
Nel provvedimento viene chiarito anche come la mafia, attraverso “dipendenti a libro paga”, sarebbe riuscita ad aprirsi un varco all’interno della multinazionale che, da parte sua, non avrebbe attivato “efficaci meccanismi di controllo interno”, sempre secondo i giudici della sezione di prevenzione del Tribunale di Milano, che hanno disposto il commissariamento delle direzioni generali di Volpiano (Torino), Biandrate (Novara), Somaglia (Lodi) e Misterbianco (Catania) “limitatamente ai settori riconducibili alla ristrutturazione / rifacimenti, alla logistica e alla sicurezza” per un periodo di sei mesi.
“Un vero e proprio mare dove pescare” quello dei “soggetti disposti a fare fatture false” insieme a coloro che sono disposti “a farsi corrompere in tutte le organizzazioni pubbliche e private”, secondo il procuratore aggiunto, Ilda Boccassini. “E’ facilissimo arrivare a pubblici funzionari o privati che si fanno corrompere e questo è il disvalore più pericoloso”.
Le indagini hanno seguito il flusso di denaro “documentando viaggi verso Catania con i soldi” che poi servivano alla famiglia Laudani per le proprie attivit”, come ad esempio il sostentamento dei carcerati. I Laudani che sono una “famiglia storica di Catania” e possono considerarsi il “braccio armato di Nitto Santapaola”, ha sottolineato Boccassini.
Ciò che e’ “mistificante”, secondo il capo della Dda Milanese, e’ “ritenere che non sia un disvalore la promessa di vantaggi anche minimi, o di poche centinaia di euro”. Dall’indagine della procura di Milano emerge infatti che le fatture false non ammontavano mai a cifre esorbitanti e, proprio di corruzione “polverizzata”, ha parlato Boccassini “che deriva da un abbassamento della soglia” di attenzione sul fenomeno.
Secondo la numero uno della direzione distrettuale antimafia milanese “è qualcosa di ancora più inquietante” per la capillarità, con ‘facilitatori’ che “venivano pagati anche mille o 2mila euro al mese per procurare questi contatti”. “E’ un fenomeno diffuso. Troppo diffuso sul nostro territorio. A Milano è dilagante”.
E infatti coinvolge anche una dipendente del Comune, Giovanna Rosaria Maria Afrone, ai domiciliari con l’accusa di traffico d’influenze. Nelle sue vesti di ‘responsabile del Servizio gestione contratti trasversali con convenzioni centrali di committenza’, si sarebbe messa “permanentemente” al servizio di alcuni componenti della presunta associazione a delinquere che avrebbe commesso vari reati tributari e tenuto rapporti con una cosca catanese.
In particolare, avrebbe promesso a Domenico Palmieri (arrestato) “di affidare alle imprese di Micelotta (altro arrestato) appalti del comune di Milano a fronte dell’impegno di Palmieri di farle ottenere un posto di lavoro presso il settore bilancio della Provincia di Milano nonché il trasferimento della cugina” al Comune di Milano.
La Lidl non risulta indagata ed ha inviato una nota in cui rimarca di essere estranea ai fatti.