Il clan faceva affari con la droga, le armi e le estorsioni, ma aveva messo gli occhi anche sulle energie rinnovabili e sui rifiuti. E gli interessi criminali della cosca Cappello-Bonaccorsi per lo spaccio si erano estesi nelle province di Siracusa, Enna e Caltanissetta.
Al ‘comando’ secondo quanto ricostruito dagli investigatori, c’erano Santo Strano, Giovanni Catanzaro, Giuseppe Salvatore Lombardo, Salvatore Salvo e Calogero Giuseppe Balsamo.
C’erano poi diverse squadre organizzate dirette da Salvatore Salvo ‘responsabile per la città’ a Catania e Calogero Giuseppe Balsamo ‘responsabile per i paesi’ soprattutto alla Piana di Catania e nei territori del Calatino e nell’hinterland pedemontano.
Ai primi tre è stato contestato il ruolo di promotori, mentre a Salvatore Massimiliano Salvo e Calogero Balsamo quello di organizzatori dell’associazione mafiosa Cappello-Bonaccorsi.
Ma dalle indagini emerge il ruolo indiscusso di una donna: è la storica compagna del boss Salvatore Cappello detenuto al 41 bis in carcere a Napoli. Lei, Maria Rosa Campagna, 48 anni, domiciliata a Napoli, era l’anello di congiunzione tra il boss e i vertici operativi a Catania, dove si recava frequentemente.
Salvatore Cappello, nonostante fosse detenuto al 41bis ha continuato a ricoprire il ruolo di capo dando direttive ai sodali anche tramite Maria Campagna. Per Salvatore Cappello non è stato adottato alcun provvedimento perchè già condannato all’ergastolo.
Nella fase inziale delle indagini è stato rilevato l’interesse della cosca per il settore delle energie rinnovabili, con particolare riferimento alla realizzazione di impianti fotovoltaici nella zona di Belpasso ad opera di un’azienda del Nord Italia.
L’imprenditore lombardo, che era entrato in contatto con Calogero Giuseppe Balsamo e con la sua squadra – nel periodo successivo alla commissione di un ingente furto di materiale (per un valore di circa 150.000,00 euro) avvenuto alla fine di novembre del 2011 nel cantiere avviato per la realizzazione dell’impianto – aveva ottenuto l’interessamento dell’organizzazione mafiosa per recuperare un presunto credito da un’impresa locale, superiore a 6 milioni di euro.
Rapporti che non solo avevano consentito all’organizzazione mafiosa di infiltrarsi nell’attività di impresa, ma avevano consentito ad esponenti della cosca di richiedere ed ottenere, a titolo di protezione, somme di denaro corrisposte in occasione delle festività natalizie e pasquali.
Tra le attività della cosca continua ad esserci il traffico di sostanze stupefacenti e lo spaccio su piazza.
In provincia la droga era gestita da Calogero Giuseppe Balsamo il quale, collaborato dal figlio Salvatore, immetteva la droga nel circondario di Ramacca e di Motta Sant’Anastasia, cedendola in grossi quantitativi a persone fidate per la successiva vendita al dettaglio, mentre in città (a San Cristoforo e a Librino) il traffico di sostanze stupefacenti veniva controllato da Giovanni Catanzaro e Salvatore Massimiliano Salvo che si avvalevano per l’organizzazione sul territorio di Tommaso Tropea e Mario Ventimiglia.
Le indagini hanno evidenziato l’estensione degli interessi criminali della cosca nelle province di Siracusa, Enna e Caltanissetta, attraverso consolidati rapporti con pregiudicati locali per l’investimento di capitali ed al traffico di sostanze stupefacenti.
Utilizzando il metodo mafioso, gli indagati erano impegnati anche nel “recupero crediti” per conto di persone che si rivolgevano a loro in cambio di protezione. Il clan recuperava così grosse somme di denaro, corrispondenti in genere alla metà dell’importo del credito recuperato, ma stringeva rapporti con l’imprenditore o il commerciante che si erano avvalsi dell’apporto del clan, ai quale potevano essere chiesti favori anche in termini di assunzioni, con la conseguente possibilità di infiltrazione mafiosa in attività commerciali “lecite”.
I vertici del clan investivano i capitali, acquisiti illecitamente, in attività imprenditoriali e commerciali in modo da infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, anche attraverso l’appoggio di una vasta rete di imprenditori.
Sequestrati beni del valore di più di 10 milioni di euro: numerosi fabbricati, autoveicoli, motoveicoli, rapporti con istituti di credito e finanziari e numerose attività commerciali tra ristoranti, bar e negozi.